lun
20
nov
2017
Teatro di Basti-Menti
Allora cari amici che splendore il teatro di Basti-Menti e lo spettacolo nell'ambito di bookcity. Tanta partecipazione, nonostante l'orario di domenica mattina.
Curarci con la cultura e favorire il ruolo di operatori culturali di molti di noi crea un grande gruppo di gente che ama la vita. Crea complessità, coraggio per parti spesso nascoste, visibilità progressiva e rispettosa dei limiti di tutti noi.
L'ironia, la forza, grinta, leggerezza del pezzo di oggi è frutto di momenti di condivisione di amore, rabbie, tenerezze, incomprensioni ma tutto vissuto in gruppo. Si produce qualcosa di autentico in tutti gli aspetti. È il sogno segreto di molti di noi, trasformare i giochi della nostra intimità in scene e azioni.
Nasciamo su palcoscenici familiari con personaggi, drammi, gioie e testi non scritti, ma potenti. A noi lo scoprirli, dare forma e parola. Sullo sfondo oggi ad accompagnare e testimoniare , c'era il nuovo numero di Noialtri, frutto di molti pensieri o scritti portati anche in teatro. A fianco di altri gruppi o esperienze, come il gruppo arte e tessuti, il gruppo progetti, le equipe dei curanti , del giornale Noialtri, dei vari e diversi gruppi. Lo studio e cura delle famiglie è poi un altro passo importante per la strada del maggiore benessere e ruolo culturale dei singoli e dei gruppi.
Il gruppo è un elemento fondante che ci insegna tanto. Si impara tantissimo dal gruppo in un'epoca di individualità senza individuo. Masse senza gruppo, corpi senza amore. Abbiamo trovato un modo forte per un'esperienza che unisce disagio gioia, dottori persone, tecniche, arte , cura, famiglie e gruppi. Certo anche difficile per me e per tutti gestire le nostre difficoltà. I nostri aspetti più ruvidi, i nostri dolori, fantasmi etc. Ora lo sforzo sarà quello di rendere tutto compatibile, le tecniche psicodinamiche innovative e gruppali con lo studio dei gruppi familiari, l'arte come prodotto, con l'ascolto degli autori attori, i disegni e tessuti come lavoro di rappresentazione nell'era in cui i simboli sono assenti, lo scrivere e il leggere come strumenti di giornalismo emotivo capace di curare per il solo fatto di studiare la realtà e altri gruppi e attività. Gli elementi Delle cure possono essere così continuati nei gruppi culturali e da lì alla vita. Buon cammino per tutti e grazie di esserci tutti.
Ma il teatro di oggi con Enzo Moccaldi, Antonio Barbazza, Roberto Bosoni, Paolo D'Ignazio, Claudia Testolin, Dina Boniello, Gabriele Scortichini, Alessandra Genta, ricordando anche gli altri attori Fabio Marini, Andrea Pozzi, Simona Martucci, Jude Sandelewski, Fabiano Martinez (ricordato su Noialtri ) e tutti coloro che sono passati con noi.
Francesco Comelli
(immagine da www.diverteatro.it)
lun
30
ott
2017
Corso Basti-Menti
sab
21
ott
2017
Un grido
Per favore, governi svegliatevi. È ormai palese che la Terra, e di riflesso i popoli, stanno soffrendo insieme per l'inquinamento sempre più insistente e distruttivo, per tutti.
E non si tratta più solo di foto dallo spazio, o dati scientifici o notizie che circolano, insomma cose che forse per qualcuno possono essere come astratte, no, si tratta invece ormai anche di realtà che si manifestano nella vita di tutti, concrete, come l'aria di Torino e della pianura padana di questi giorni, delle coltivazioni che muoiono sempre di più, del Po e dei fiumi e dei corsi d'acqua in secca come gli stessi ghiacciai, della siccità e scarsità d'acqua che ha segnato questa passata estate, e ancora, i malanni e malesseri che stanno affliggendo tante persone, sia a livello di salute fisica che a livello di umore, di cuore e cuori insomma.
Viviamo su questa Terra cazzo! ... Scusate per il linguaggio... La stiamo distruggendo, e in maniera come astratta e inconsapevole per alcuni, ... Faccio un sospiro, basta, scusate, è solo che non riesco a vedere questa distruzione e starmene zitto.
Basterebbe così poco, così nel piccolo come nel grande.
Perché ognuno non comincia a riciclare, anche solo con una corretta raccolta differenziata, o evitare di usare la macchina quando non è strettamente necessario? E ancora,... sospiro.. Ci sono molti modi di risolvere il problema anche partendo da ognuno di noi, bisognerebbe usare internet per informarsi anche su ciò, qualcuno lo fa davvero o ne parla con altri?.. ma queste cose forse non sono facili da capire, o da applicare. E almeno i governi, ladri, sporchi che non siete altro, perché ogni tanto, almeno una volta, non fate qualcosa di veramente giusto? Perché almeno non fate degli incentivi, concreti, per comprare e/o sostituire le automobili con automobili elettriche? Con tutte le tasse che mangiate, ogni tanto lo fate qualcosa di giusto? ...
Non cambierà mai nulla tanto, perché sembra che ormai sia solo così l'Italia come anche altri governi: solo una questione di soldi. ... Sospiro, io, voglio Viverci sulla Terra.
Un ragazzo anonimo, un nessuno, un tutti... Solo io.
(immagine da internet: http://tech.everyeye.it)
mar
13
giu
2017
Musica maestra
Pochi giorni fa, durante il gruppo che si incontra per discutere di nuovi stimoli da inserire in questo blog, ci si interrogava sulle distanze che ci sono tra le generazioni di genitori e figli, osservando come tra queste spesso sia proprio la musica a porsi come baluardo di confine.
La musica, infatti, sembra ci serva per delineare la nostra identità: ricerchiamo nelle note di una canzone, ma ancor più nelle parole, dei fedeli compagni di viaggio che possano essere nostri o perlomeno del nostro tempo, del nostro momento; compagni con cui sia possibile costruire un dialogo che spesso è impossibile trovare altrove.
Per quanto sia comune a molti di noi trovare difficile capire la musica che ascoltavano i nostri genitori o i nostri nonni e sebbene ci rendiamo conto di come ancor più difficile sia per un genitore capire la “musicaccia” che ascoltano i propri ragazzi, è anche vero che molti di noi associano la musica ad alcune delle proprie “fasi” della vita, fasi che ci troviamo a vivere come già i nostri genitori e i nostri nonni e che forse vivranno anche i nostri figli.
Pertanto ci si chiede come questa musica, tanto diversa nei tempi e nei gusti di chi la ascolta, possa essere oltre che motivo di differenziazione anche un ponte di collegamento che ricopre la stessa funzione per più persone in diversi momenti; ci si domanda come autori del passato possano dirci tante cose ancora molto attuali e importanti o viceversa musica più recente possa smuovere qualcosa anche in altre generazioni.
La cosa sicura è che molti autori ci dicono ancora molte cose profonde, vive e toccanti e alcuni di questi che “non hanno tempo” sanno e sapranno dirci sempre qualcosa sui nostri momenti…
Ecco alcuni stimoli per risentire passaggi che potrebbero essere dei bei trait d’union tra generazioni:
…Se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna tesserebbe i capelli e il viso …
Se ti tagliassero a pezzetti - Fabrizio De André
https://www.youtube.com/watch?v=UyYCD3fDMwE
…Qui nel girone invisibili
per un capriccio del cielo
viviamo come destini
e tutti ne sentiamo il gelo…
Cose Che Dimentico - Fabrizio De André con Cristiano De André
https://www.youtube.com/watch?v=6IH0LfPSLS0
…Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male…
Non insegnate ai bambini- Giorgio Gaber
https://www.youtube.com/watch?v=rYpQFTu4IFI
Niccolò
(foto da pixabay.com)
sab
20
mag
2017
Morto Chris Cornell
Morto Chris Cornell, leader di Soundgarden, Audioslave e Temple of the Dog.
Trovato da un amico di famiglia sul pavimento del bagno in una camera d’albergo. Il medico legale conferma il suicidio.
Chris Cornell, nome d'arte di Christopher John Boyle (Seattle, 20 luglio 1964 – Detroit, 17 maggio 2017), è stato un cantante e musicista statunitense.
La sua carriera ebbe inizio nei Soundgarden, formatisi nel 1984 e scioltisi nel 1997 (poi riunitisi nel 2010); il suo nome è legato anche al gruppo grunge Temple of the Dog. Dal 2001 al 2007 ha formato, assieme ad alcuni ex componenti dei Rage Against the Machine, il gruppo Audioslave, di cui è stato il cantante solista.
Ciao Chris mi manchi già. Piango, piango per il vuoto che sento dentro. So che soffrivi, spero che tu ora possa riposare in pace. Hai una voce unica, sei bello come un Dio e magari nessuno capisce che soffri, che stai male, come può un Dio star male?
Io non sono un Dio, ma ti capisco, perché tu sei mio fratello, adesso ancor di più capisco perché ti amo, perché amo la tua musica, la tua voce.
Ti sto ascoltando alla radio, piango e rido. Piango perché sento il vuoto che c'è in me. Rido perché per capirti ho avuto bisogno che tu ti staccassi.
Ti amo Chris, bello come un Dio, invidiato da tutti. Chissà se invidiano anche la tua sofferenza? Ciao Chris, sai che pochi capiranno il tuo gesto, anche molti di quelli che soffrono non lo capiranno. È inutile che dici, gridi o canti che insieme al tuo immenso talento, alla tua voce, alla tua bellezza porti con te tanta sofferenza. La tua bellezza, il tuo talento la tua voce ti condannano alla felicità, chi ti crede se dici che dentro ti senti a pezzi? Con quella faccia? Con quel fisico? Sei il perfetto sciupa femmine, quante ne hai avute? Quante ne puoi avere? Come puoi pensare che ti credano se dici, che gridi con quella tua voce, unica, che stai male? Ciao fratello ti voglio bene, a me dimmi pure che stai male, ti credo è sempre ti crederò e per te, per me per tutti pregherò che si possa vivere in pace, senza sofferenza mentale. ️Love Chris.
Roberto
(foto dal web http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/)
mer
17
mag
2017
Ingiustamente accusato di stalking
Una volta mi è capitato di venire accusato di stalking da una donna. Io non faccio di queste cose, e con le donne ho sempre avuto dei rapporti ottimi. Questa cosa mi è capitata dentro un bar, che frequentavo abitualmente, e ad accusarmi di stalking è stata una bar-girl. Questa ragazza, che lavora dentro al bar, mi ha detto che la stavo perseguitando.
Non so che cosa questa ragazza abbia pensato di me, ma io andavo in quel bar solo a prendere il caffè. Inoltre non c’è stata la possibilità di spiegarsi, perché un altro avventore del bar ha minacciato di volermi picchiare.
La cosa mi ha lasciato con l’amaro in bocca, proprio perché io non ho mai fatto del male alle donne. Inoltre in questo caso specifico si trattava di una ragazza, cioè di una donna giovane.
Io non so perché questa ragazza abbia pensato che la stessi perseguitando, come ho detto andavo in quel bar solo a bere il caffè. Ovviamente dopo questo episodio non sono più andato in quel locale, ma ho cambiato bar.
Forse anche la differenza di età tra me e la bar-girl, ha contribuito alla nascita di
questo equivoco.
Sandro
foto dal web (http://www.ilquorum.it/cosa-e-lo-stalking/)
mar
25
apr
2017
Ricchezza e povertà non sono una colpa
Sono d'accordo con Briatore: la ricchezza non è una colpa, se è anche condivisione e sana espressione; se no diventa solo malsano egoismo.
E non è una colpa nemmeno la povertà, se la si vive con il sano desiderio costruttivo di raggiungere la propria ricchezza aggiungendola agli altri senza toglierla a nessuno. Invece se la povertà viene vissuta diversamente non diventa altro che malsana invidia e frustrazione...
A proposito, sono d'accordo anche con Indro Montanelli: quando uno vede una bella macchina la prima cosa che desidera è tagliarle le gomme. Sì, appunto: i frustrati, i repressi, i falliti e gli invidiosi... Per fortuna non siamo tutti così frustrati, repressi, falliti e invidiosi... C'è anche chi desidera semplicemente riuscire ad averla, la bella macchina, senza rubarla, sfregiarla o tagliandole le gomme.
Meno male che non siamo tutti uguali...
Paolo (testo e disegno)
mar
25
apr
2017
La televisione mi manca
La vita è diventata un inferno per un film e per un programma televisivo. Mi dicevano: “Mi mandi una mail”, ma io ero senza luce e senza telefono. Quasi nessuno ad aiutarmi in dodici anni da barbona!
Io sono dovuta andare al centro d’igiene mentale di Roma… Ho fatto giornalismo chiusa nelle comunità psichiatriche. Non sapevo perché le assistenti sociali usano il protocollo e gli psichiatri un “facce vede”… Purtroppo nella vita quando hai bisogno di aiuto sei protetto se hai una famiglia, un luogo dove tornare. Io non ho nessuno: mia zia è malata e vive in un’altra regione.
Fino al 2004 me ne stavo tanto tranquilla in pace di Dio. Poi ho avuto mobbing pesantissimo per la politica in Rai… La politica adesso è un prêt-à-porter: Twitter, Facebook, Instagram. Dieci anni fa i computer costavano ancora tanti soldi, i cellulari non facevano da computer portatile, niente mail…
Ero chiusa, già entrata a Lighea, la comunità psichiatrica: me la potevo beatamente risparmiare se le assistenti sociali avessero conosciuto la legge e non solo il protocollo.
Costavo alla comunità dei miei concittadini 5000 euro al mese… A stare con i malati ti ammali perché le infermiere mi buttavano, per avere ordine nella stanza, la pelliccia presa in Ucraina. I miei amici… Lascia perdere: a chi vuoi che interessi… Non puoi farci niente… Ci sono voluti sette anni e mezzo per fare causa e li ho superati…
Avevo tutto Estée Lauder, tutto Valentino, tutto Max Mara, tutto Les Copains e un cane, Pompei Esposito… Il mio cane me l’hanno portato via con una crudeltà drammatica: era incinta, era tutta la mia vita.
Ho sofferto e lottato per rientrare in Rai che mi manca da morire: è cambiata tanto, tutto moderno, scenografie bellissime. Sono dieci anni che manco dalla televisione: ho continuato a mandare curriculum, ho fatto un appello sull’Avvenire scrivendo al direttore, ma non mi ha offerto una collaborazione.
Ho cominciato ad andare al monte di pietà: lasciavo l’oro che era di mia madre, Baume & Mercier e Eberhard.
Abitavo a San Pietro in pieno centro a ROMA e mi manca Roma mi manca Roma…Mi manca.
Adesso la Rai si è rinnovata tantissimo: bellissime scenografie e i programmi della sera vanno anche al mattino. Quanti currriculum mandati inutilmente… Neanche cane crepa. Eppure ho vent’anni di tv alle spalle: l’ultimo lavoro dalla comunità psichiatrica Lighea per Rainews; con due documentaristi abbiamo raccontato i venditori di rose, le chat cattoliche, i gasdotti. Poi per Rai educational la comunità psichiatrica Mizar.
Poi sono crollata ossessionata dagli infermieri, ossessionata dal dover dar conto come se avessi cinque anni, neanche mia madre era curiosa della mia vita così. Sono stata offesa da infermieri curiosi, da educatrici con una mentalità… Non sanno chi è Carlo Goldoni, non sanno chi è Maria Rita Parsi: ho perso molto smalto.La televisione mi manca.
Adesso frequento l’associazione Onlus di Francesco Comelli che ha creato una storia importante sul giornalismo emotivo che vuol dire farsi coinvolgere dai fatti e dire la propria con animo candido. In associazione nessuno giudica come fanno invece con me al Cps: si sentono padroni della tua vita per 200 euro che ti arrivano dal Comune. Io sono pronta a rinunciare all’assegno d’invalidità civile. Lavoro per Confidenze come collaboratrice: scrivo due storie sul disagio risolto al mese. Sono felice che Francesco Greco, che è il mio mito da quando ero a Chi l’ha visto?, ha detto che si occuperà di finanza e di terrorismo. Sono felice: è il mio mito, lo amo da morire ho una passione per quell’uomo.
A Trento nel 2005 aveva avvertito tutti della crisi: lui non avrebbe fatto chiudere il negozio a mia zia, lui avrebbe fatto altro. La crisi sarà anche mondiale, ma ci andiamo di mezzo noi, quelli che sono deboli. Ringrazio questa testata, ringrazio un’amica che mi ha regalato un paltò, un montone e una pelliccia di sua mamma che per me sono doni immensi.
Tutti questi dieci anni nei letti di contenzione delle psichiatrie milanesi non sono serviti assolutamente a niente.
(foto da www.valuta.bz)
Anna
ven
21
apr
2017
Sul Biotestamento
Trovo giusto che ognuno sia libero di scegliere come vivere e morire....
Il problema però è che purtroppo non sempre ci si trova così facilmente nella condizione di poter scegliere... Non è così semplice riuscire a prendere delle decisioni a priori...
Metti che non fai in tempo a sottoscrivere il tuo biotestamento???...
Chi garantisce per te???...
E anche se da parte di chi fa il tuo garante...nutri tutta la tua stima e fiducia...questi come potrebbe mai pensare e agire al posto tuo se già te per primo non hai avuto nemmeno il tempo di decidere per te stesso???...
Io credo che si debba mettere in conto anche questa situazione...
E non credo nemmeno che sia così semplice scegliere quando e se è il momento di sottoscrivere il proprio biotestamento...
Come credo che non sia altrettanto semplice nemmeno esser così sicuri delle proprie scelte anticipate...
D'accordo...è vero che il senso di sottoscrivere un biotestamento, certamente è dato dal fatto che proprio in difesa del diritto di scegliere cosa farne della propria esistenza..., ha senso dichiararlo quando si è ancora nelle piene facoltà psicofisiche...si ma come si fa a stabilire che è valido solo il parere di chi è nel pieno delle sue facoltà psicofisiche???...
Cosa significa, che chi è in grado di intendere e di volere e che fisicamente è ancora sano non è soggetto anch'egli a potersi trovare nella scomodissima situazione di non saper scegliere???...
Io credo proprio di si.
Certo che si!
Chiunque può trovarsi in difficoltà quando si tratta di prendere decisioni così importanti...anche chi è ancora in formissima.
Sarebbe troppo discriminatorio verso chi è già debilitato dalla nascita o comunque prima del biotestamento perché sarebbe davvero troppo riduttivo affermare che conta solo il parere, il volere e il desiderio di chi è capace di intendere e di volere...
Si certo...è importante esserlo...ma fino a che punto si è in grado di intendere e di volere???...
L'ho già espresso prima..., siamo sicuri che anche chi lo è..., è sempre così sicuro e deciso nelle proprie scelte???...
E poi ci sarebbe da metter in conto anche un altro dettaglio importante...:
E se nonostante la scelta di sottoscrivere il biotestamento..., successivamente venisse un ripensamento???....magari proprio durante la fase della malattia e magari anche in fase degenerativa....
Come ho già premesso all'inizio di tutto questo mio pensiero in proposito..., trovo sensato che ognuno sia libero di scegliere ciò che vuole della propria esistenza...appunto..., ognuno...., indistintamente ed in qualsiasi momento...
Paolo (testo e disegno)
ven
21
apr
2017
La scuola è solo istruzione?
Quindi, a parte il pensiero di questa "ministra...", la scuola si limita solo ad istruire???...perché per quanto riguarda l'informazione...ci pensano solo i mezzi d'informazione ad informare le persone...
Non sono così tanto convinto..., perché già dal momento che si riceve o si dà un'informazione..., chi ne viene a conoscenza ha la possibilità di imparare ma allo stesso tempo anche chi la mette a conoscenza ha la possibilità di insegnare...
Secondo me l'insegnamento e l'apprendimento vanno insieme contemporaneamente con l'informazione ed è per questo che non posso limitarmi a credere che la scuola e i mezzi di informazione siano così nettamente contraddistinti in insegnamento scolastico e informazione giornalistica.
Io credo che esista come in tutte le cose la via di mezzo e che la scuola non è solo insegnamento ed istruzione...ma anche conoscenza ed informazione..., perché non si impara solo a scuola...ma anche attraverso le notizie e tutte le varie informazioni dei mezzi di informazione...perché nulla mi toglie dalla testa che le regole non esistono solo a scuola...
In politica ad esempio..., esistono tante di quelle leggi...e "queste"...(leggi...)...non sono per caso regole????...certo che si e queste "leggi o regole..."...non vengono per caso trasmesse dai mezzi d'informazione???...
Certo che si!
Sono regole come tutte le altre e per insegnarle..., bisogna prima esserne a conoscenza..., per poterle comprendere...imparare e rispettare...
Trovo comunque giusto che ha senso studiare approfonditamente la storia antica ma trovo altrettanto giusto proseguire lo studio e la conoscenza fino a quella contemporanea che non può avere come confine il secondo conflitto mondiale..., perché in questi ultimi settant'anni ci sono stati tanti altri fatti storici che a mio modestissimo parere andrebbero raccontati e spiegati bene anche in ambito scolastico almeno fino agli anni novanta....
Concludo con quest'altro mio modestissimo pensierino finale...:
Penso comunque che sia certamente un diritto esser ragazzi...ma anche i ragazzi pur essendo ancora tali...abbiano già dei doveri...come i ministri non credo abbiano solo doveri...
Paolo (testo e disegno)
ven
07
apr
2017
Alatri
La cittadina di Alatri, oggi alle cronache per la brutale uccisione di un giovane, si trova in Ciociaria al confine tra il Lazio e l'Abruzzo e, in rapporto alla piccola dimensione (circa trentamila abitanti) dispone di ben cinque biblioteche, di numerose associazioni culturali, di una valida struttura sanitaria e di un patrimonio artistico costituito da chiese e da vari palazzi patrizi, il tutto a prova di un tessuto di storia e di una struttura sociale ben organizzata.
Non siamo, quindi, in un centro dell'estremo sud ove i punti di aggregazioni sono solo i bar e la piazza del paese con i cartelli stradali crivellati dai colpi di lupara. Eppure la brutale uccisione di cui è stato vittima un giovane sembrerebbe appartenere ad un contesto di degrado che ad Alatri non è presente e che non può essere portata a giustificazione sociologica dei prodromi del fatto.
La furia, l'accanimento e la barbarie con la quale il gruppo ha infierito sono istinti che vanno, invece, ricercati in capo ai ragazzi del branco; lascia sgomenti l'insensibilità di fronte all'incrudelirsi su un coetaneo privo di difese contro gli aggressori. Non è il primo episodio del genere: la cronaca ci propone frequentemente fatti similari o addirittura, se possibile, più efferati, sempre a danno di persone più deboli - sempre più spesso le vittime sono donne, fidanzate o mogli, nei confronti delle quali si scatena una furia omicida che lascia increduli per la futilità se non per l'assenza di motivazioni, ma sopratutto per le modalità crudeli di esecuzione.
Ai funerali delle vittime i discorsi dall'altare sono sempre di misericordia e di perdono con la raccomandazione di evitare la vendetta che non farebbe che aggravare il fatto. Non ci si chiede, invece, da dove nasca tanto spregio rispetto alla sofferenza delle vittime che non può essere spiegato come la conseguenza di un raptus o di uno scatto momentaneo, visti i comportamenti reiterati e l'insistenza nell'incrudelire sulla vittima.
La società del benessere (così orgogliosamente definiamo questi anni, dimenticandoci delle gravi sacche di povertà estrema presenti nel nostro Paese) ha evidentemente anestetizzato in una parte della popolazione i sentimenti di tolleranza e di rispetto che devono essere alla base della convivenza civile, dando priorità ai miti del successo, dell'arricchimento, della furbizia, del possesso consumistico. Con la conseguenza di creare rabbia e frustrazione in chi non riesce a raggiungere questi traguardi e si sente, quindi, escluso dal contesto. La miopia dell'attuale situazione sociale è che si persegue l'obiettivo individuale e non un traguardo collettivo, cioè il miglioramento generale; manca una visione, un ideale di progresso generale. La rabbia repressa attende solo un pretesto per scatenarsi e dimostrare tutta la sua distruttività contro il malcapitato che si trova ad attraversare la nostra strada lavorativa, sentimentale o anche solo occasionale.
Gli episodi di efferata violenza sono, fortunatamente, numerosi ma non generalizzati e vanno combattuti con l'esempio e l'educazione fin dal manifestarsi degli episodi giovanili di bullismo che sono un'anticipazione del successivo incistarsi dell'atteggiamento di indifferenza e di cattiveria nei confronti del prossimo.
Ettore
foto da internet: stateofmind.it
mer
05
apr
2017
La fidanzata è come la mamma: una sola
Secondo me la fidanzata è come la mamma, è una sola.
Sì, ne sono sempre più convinto perché l'amore sincero, unico e speciale che si prova con la propria madre, lo si prova allo stesso modo con la propria fidanzata.
A me basta l'amore e tutto l'affetto materno che ricevo quotidianamente e, penso sia lo stesso per la maggior parte dei figli di questo mondo. Perciò non vedo che differenza ci sia o debba esserci con l'amore unico, sincero e speciale che si prova per la propria fidanzata.
Per tutti i figli e gli innamorati e fidanzati del mondo della propria madre e fidanzata, io credo che questi due loro amori siano e sono unici ed insostituibili, ragion per cui non vedo che necessità ci debba essere per aver bisogno di cercare un'altra madre e un'altra fidanzata.
Io lo ripeto e lo sottolineo nuovamente:
"A ME BASTANO MIA MADRE E LA MIA FIDANZATA. PUNTO."
Provo a dare una spiegazione in più del perché sostengo così con convinzione questo mio pensiero...:
"IO CREDO CHE SE SI È INNAMORATI VERAMENTE DELLA PROPRIA MADRE E DELLA PROPRIA FIDANZATA..., ALLORA NON SE NE SENTE PROPRIO ALCUN BISOGNO NELLA MANIERA PIÙ ASSOLUTA DI CERCARSENE ALTRE PERCHÉ L'AMORE VINCE SEMPRE SU TUTTO E SE L'AMORE FINISCE VUOL DIRE CHE NON È VERO AMORE PERCHÉ IL VERO AMORE PURO E SINCERO È LIMPIDO E IMMENSO COME IL CIELO E QUANDO SI IMPARA A CAPIRE UN PO' DI PIÙ IL VERO SIGNIFICATO DELL'AMORE..., ALLORA Sì CHE SI IMPARA AD AMARE DAVVERO IN MODO UNICO, SPECIALE E SINCERO.
Paolo (testo e disegno)
lun
20
mar
2017
Depresso e felice
Nei primi 35 anni della mia vita, l'umore era legato alle circostanze e agli avvenimenti esterni.
Con l'insorgenza del disturbo bipolare, invece, sono stato depresso o mi sono sentito euforico senza alcuna causa esteriore. L'umore era basso anche se tutto andava bene, o potevo essere raggiante e sentirmi onnipotente anche se attorno a me le cose non andavano poi tanto bene.
Di anni ora ne ho 45. Da quattro anni non ho più ricadute. Non si verificano più ricoveri nei tanti reparti psichiatrici conosciuti dall'interno. Continuo a curarmi, stavolta accettando o tollerando i farmaci e le premure degli psichiatri e degli psicoterapeuti.
Oggi, 20 marzo, mi dicono essere la Giornata Internazionale della Felicità.
Ma io sono felice?
Mi guardo, mi osservo, mi ascolto e trovo la forza di dire con sincerità che sì, sono felice. Una felicità tutta nuova, diversa da quella che avevo prima di essere dichiarato e curato come affetto da disturbo bipolare. Mi sveglio in questi ultimi mesi talvolta depresso, nostalgico... mi manca il mare, la terra natìa... poi durante la giornata torna il sorriso.
Nonostante la depressione, sento in me una gioia di vivere, di abbracciare, di amare. Si può quindi essere felici anche se ansiosi e depressi? Sì, io sono felice, nonostante l'umore continui a fluttuare senza motivi apparenti. Non so perché. Sento una gioia di fondo nonostante i pensieri tristi. La vita scorre... forse basta non porre condizioni, per essere felici qui, ora.
Fabio
sab
18
mar
2017
Ogni cosa può diventare una dipendenza
Secondo me qualsiasi cosa può diventare una dipendenza, il gioco ad esempio; sì, va bene d'accordo, se in più ci spendi pure i soldi..., allora ti rovini anche economicamente....ma il punto è che con o senza denaro...se hai in testa solo il chiodo fisso di giocare, giocare, giocare e giocare pensando di vincere e aver successo nella vita vincendo attraverso il gioco..., allora vuol dire che non hai proprio capito niente perché ti stai soltanto scavando la fossa da solo con le tue mani senza nemmeno accorgertene e per di più ti stai iniziando a sotterrare vivo senza nemmeno saperlo.
Ricordati che esiste lo svago...ma esiste anche la moderazione....e se sei consapevole di questo...., allora sei anche in grado di darti un limite e capire quando ti devi fermare..., se invece non sei capace di comprendere tutto ciò..., allora finirai soltanto per perdere tutto quello che hai....ma non solo in termini economici...., perché "quello..."..., i soldi..., anche se per alcuni potrebbe sembrare strano...., a mio avviso invece è il male minore..., infatti se per assurdo ci fosse chi investe denaro al posto di chi gioca..., o comunque i giocatori giocassero gratis...., senza capire che non possono ridursi a fare solo quello..., giocare...., finirebbero per rovinarsi lo stesso...., non economicamente ma mentalmente e fisicamente..., perché il risultato sarebbe sempre e solo uno...:
DIPENDENZA!
Con la tristissima ed ovvia conseguenza tutta a discapito della vita affettiva.
Sì!!! Purtroppo è così!!!
È inutile negarlo o girarci intorno ma si finisce per restare soli!
Purtroppo però si sa benissimo che per i malati cronici di ludopatia, tutto questo è troppo difficile da ammettere per poter tentare di superare questo grossissimo problema.
Io resto comunque dell'avviso che la prima cosa da fare è far capire a chi desidera giocare che non si gioca né per soldi né per successo in qualsiasi senso sia.
Perciò come prima cosa io abolirei immediatamente i soldi come mezzo per giocare, perché il denaro viene solo utilizzato male sia da chi lo investe per offrire il servizio...sia da chi lo investe per usufruire del servizio...gli utenti o per meglio dire...giocatori o scommettitori...
Purtroppo i soldi da che esiste il mondo sono stati sempre utilizzati male e non è affatto vero che semplificano le cose..., anzi è proprio il contrario..., le complicano inutilmente...e, con molta più onesta' e presa di coscienza da parte di tutti...., io per primo..., ci si renderebbe conto che si potrebbe vivere molto meglio e sentirci tutti più sereni..., senza necessariamente esser dei santi immacolati senza peccato.
Come???
Semplice!!!
L'ho già espresso il mio parere..., le ludoteche esistono già e questo si sa ma, chi le frequenta deve capire quando fermarsi..., chi non è interessato a frequentarle deve capire che non ha senso nemmeno giocare...e chi le gestisce, chi ha avuto l'idea di inventarle e chi ha dato l'autorizzazione a realizzarle...., mi riferisco alle istituzioni e tutti gli organi competenti...., devono capire che sicuramente sarebbero in grado di funzionare benissimo anche senza soldi e senza fondi...ma semplicemente prendendo accordi civili e sempre all'insegna del buon senso e del rispetto reciproco tra chi gestisce questi ritrovi ludici..., le istituzioni e chiunque altro ne sia collegato, ovviamente con l'impegno da mantenere da parte delle istituzioni..., di incaricare e controllare a loro volta persone con funzioni di controllo sui frequentatori di ludoteche, al fine di individuare attraverso segnalazione ed eventuale divieto o sospensione dalle ludoteche chi ne fa dipendenza cronica.
Paolo (disegno e testo)
ven
10
feb
2017
Disabilità: non una malattia ma una caratteristica
Secondo me la disabilità non è una malattia, penso piuttosto abbia a che vedere con una caratteristica che, come tutte le caratteristiche, comporta una condizione ed una conseguente situazione di vita, la quale eventualmente può generare una malattia nel caso in cui la situazione sia particolarmente avversa a causa di fattori esterni, primo fra tutti, la rigidità da parte di molta gente verso gli schemi, le regole e tutte le convenzioni create da noi stessi, in particolare dai cosiddetti "abili...".
Penso invece che la malattia non sia nient'altro che un qualcosa che va contro il benessere della propria salute che può anche causare disabilità, come è altrettanto vero che anche la disabilità può esser causa di malattia ma, proprio perché esiste una netta differenza tra le due, ciò non significa che sia l'una che l'altra siano necessariamente collegate.
Sempre restando in tema, provo a fare un esempio:
Quando ci si sottoponeva alle visite mediche per svolgere il servizio militare di leva obbligatoria, bisognava avere certi requisiti, tipo altezza, peso ed altro per esser valutati abili ed arruolati.
Ecco, il punto era ed è che se una persona non è abbastanza alta per esser assoldata, di conseguenza non considerata abile per quel servizio, ciò non significa disabilità assoluta.
Per disabilità assoluta, intendo che nessuno è abile o disabile in tutto e per tutto.
Riprendendo l'esempio che ho appena fatto riguardante l'arruolamento militare, posso subito e chiaramente affermare che se un soggetto è abile come soldato, non è detto che lo sia per fare il medico, aldilà delle competenze che la professione stessa richiede.
Infatti, lo stesso soggetto considerato un ottimo soldato perché abilissimo a maneggiare armi, in un'altra situazione potrebbe esser un pessimo medico perché non abile, cioè disabile a svolgere la sua mansione per mancanza di istruzione necessaria in quel settore o, nonostante le competenze, per inabilità o disabilità a individuare le terapie più funzionali per i pazienti.
Quando si tirano in ballo le parole "abilità" e "disabilità", io mi riferisco solo alle presunte o vere capacità e incapacità degli individui, non di certo allo stato di salute e, proprio per questo, continuo ad esser fermamente convinto che la salute non ha niente a che vedere con le abilità - capacità o disabilità - incapacità.
In ogni caso, non solo non si può esser abili o capaci o disabili e incapaci in tutto ma, anche in ciò in cui lo si è, non lo si potrà esser per sempre per due motivi.
Perché fino a prova contraria non si vive ancora in eterno e, poi anche perché finché si è vivi, nessuno credo sia in grado di garantire certezze assolute sulle proprie capacità - abilità o incapacità - disabilità.
Infatti, se si è valutati abili, cioè capaci a svolgere un determinato ruolo, ciò non toglie che, pur essendo abili o capaci per quel ruolo, non è detto che si continuerà ad esserlo anche durante il suo svolgimento.
È un po' come quando si viene assunti in un posto di lavoro, si è valutati abili per svolgere quel lavoro ma, non è detto che la valutazione di abilità sia la stessa anche durante il suo svolgimento.
Praticamente, il mio parere sulla disabilità, è che questa parola è troppo generica e come tutte le parole generiche, lasciano il tempo che trovano, perché chi non è abile per certe cose, lo è per altre o senz'altro almeno per una.
Paolo
foto dal web: www.psicologiaintegrataroma.it
dom
05
feb
2017
Unione, condivisione e ricerca dell'altro
Secondo me ciò che unisce le persone è la ricerca dell'altro con cui condividere emozioni; detto questo... penso che il desiderio di relazionarsi sia innato in tutte le persone, anche quelle più introverse e taciturne.
Non credo abbia molto a che vedere con la solitudine, pur restando dell'idea che se vissuta tragicamente essa può diventare la causa di alterazioni e conseguenti difficoltà a interagire con gli altri; è anche vero che difficoltà e vantaggi nelle relazioni esistono comunque a prescindere dalla presenza o assenza di alterazioni.
La prima e forse unica difficoltà che mi viene costantemente in mente è sempre legata al modo di interagire prima, durante e dopo una conversazione.
Per quanto riguarda il "prima", l'arte, almeno da una delle due parti, di saper rompere il ghiaccio, la trovo di fondamentale importanza: in questo caso si sa che viene sempre premiato il modo di porsi al cospetto altrui... Ci tengo a precisare anche un'altra cosa che si sa bene: "Per esser piacenti non esiste un modo esatto ed assoluto".
Passando alla seconda fase, quella del "durante", è oltremodo di vitale importanza saperla gestire, capendo e scegliendo il momento opportuno in cui ha senso ascoltare, parlare, interrompere o chiudere se necessario; non necessariamente si interrompe o si chiude perché il dialogo è di scarso interesse o perché ci si sente sommersi da mille informazioni...
La fase finale riguarda il "dopo": grazie ad essa e a chi è stato al nostro cospetto ci si saluta e ci si porta con sé qualcosa in più.
Paolo
foto dal web, "lamenteemeravigliosa.it"
sab
21
gen
2017
Bruciore di stomaco
C’è un pozzo nero nero sotto il cuore
Che, quando si risveglia, risucchia tutto.
Del bene e del male
Ne fa un falò.
E non basta un Maalox a farmi stare meglio.
Ne gusto i combusti miasmi
E, se va bene, faccio pure il ruttino.
Ciò che ho fatto, lo disfaccio
E faccio cose da disfarsi.
Con perizia di artigiano
E l’astuzia dell’ingannatore.
Lo lascio imbrogliarmi,
Docile e solerte stolto,
E gli consegno le chiavi di casa,
Fidando nella sua bonomia.
Ecco!
Ora sono una non persona!
Sono io il mio peggior nemico!
Nessuno è più colpevole di me!
Schiavo di un gorgo
In cui consapevole mi immergo.
Uno sgorbio in carne ed ossa
Che affonda nel materasso
(Per favore, se cambiate le lenzuola,
Guardate bene prima dentro!).
Ma, a considerare con disciplina,
Scopro che anche quel pozzo è cosa mia.
Che non s’acquieta col vezzeggiare e le blandizie
O il bisturi e la chimica.
E’ acqua che ambisce a veder la luce,
Nera là in fondo,
Ma chiara e fresca dopo lo sforzo.
E sana, allora, e nutriente.
Quella lurida cornacchia,
Che mi rode il fegato,
E’ un pulcino nato zoppo
Che pigola di rabbia per la fame,
E tende il collo e strilla
Per farsi sentire.
Vola dunque alla campagna!
A cercare i buoni semi
E l’erba fresca!
Invece che bacche velenose
E vermi sazi del sangue degli ignavi!
E, insieme alle altre mamme,
Riempi l’aria di suoni
Che, per chi sa ascoltare,
Si distinguono anche in mezzo al temporale
E ne annunciano la fine.
Antonio
foto da vitadadonna.com
gio
17
nov
2016
Psicopatologie fraintese
È notizia di poco tempo fa l’ennesimo arresto di Fabrizio Corona. La madre intervistata lo ha di nuovo scagionato dicendo che il figlio ha una personalità borderline e da tempo è in cura presso diversi psichiatri. Corona è in galera come spesso accade a chi soffre di disturbi psichici.
Ricordiamo la tragedia occorsa a Milano quando Cobobo uccise tre persone: finito in carcere prima, venne poi giudicato incapace di intendere e volere.
Ecco perché ci dobbiamo interrogare sempre su cosa sia meglio fare se ci dovesse capitare di incontrare una persona evidentemente fuori di sé o semplicemente, se già lo conosciamo, se dovessimo trovare questa persona ad esempio irriconoscibile. Ancora, dobbiamo riflettere come nel caso di Cobobo, su cosa può portare una persona ad uccidere con disinvoltura. Non diciamo che tutti gli immigrati sono come lui, ma pensiamo piuttosto da dove vengono. La maggioranza infatti proviene da zone di guerra dove è routine vedere gente morta o peggio i propri familiari uccisi dopo inaudite violenze. Per non parlare del viaggio massacrante che hanno affrontato prima di arrivare alla meta, magari subendo ancora soprusi e violenze.
Provate se non volete prendere questo esempio ad immaginare invece un tedesco che non parla inglese o italiano sorpreso nel nostro paese a spaccare una vetrina perché sta affrontando una crisi e frainteso finisce in galera.
Vedete, la maggior parte delle persone perderebbe facilmente le staffe se l’aereo o il treno che si deve prendere fosse in forte ritardo senza essere preavvisati: il motivo è il ritardo non annunciato. Una persona con disagio psichico non viene invece mai avvisata prima di una crisi e perde il contatto con la realtà senza fare calcoli anche se la vita in pericolo è quasi sempre la sua.
Diciamo questo per sensibilizzare tutti sui disturbi della mente senza giudicare troppo presto chi abbiamo di fronte. Una soluzione può essere scrollarci di dosso l’indifferenza o la paura. Quando vediamo certe cose basta chiamare il 118 e forse qualche tragedia sarà evitata. Ricordatevi sempre che potrebbe un giorno toccare a voi o ad un vostro
familiare di soffrire e magari sarete grati se qualcuno vi riconoscerà per quello che siete non per quell’istante di follia che può rovinare la vostra vita o quella di altri.
Per questo motivo questo blog si chiama "Borderblogpsiche", noi siamo quelli che hanno sofferto o soffrono di malattie psichiche ma ce la stiamo facendo e guardando avanti vorremmo non lasciare indietro nessuno.
Se anche tu vuoi partecipare ai nostri straordinari progetti contattaci al più presto senza paura.
Andrea (che beve succo amniotico)
foto scaricata da http://artesenzaconfini.myblog.it/2013/02/17/bordeline/
mer
09
nov
2016
Viaggio col padre
Carlo Castellaneta
Viaggio col padre
Mondadori, 1958
Il libro “Viaggio col padre” di Carlo Castellaneta, è un romanzo autobiografico che tratta di un dissidio tra padre e figlio. Il padre di Carlo Castellaneta è infatti un fascista che ammira Benito Mussolini; l’autore invece parteggia per Ottavio, un partigiano che abita nello stesso quartiere dei Castellaneta: la vicenda si svolge a Milano, nel quartiere di Lambrate (si possono riconoscere la via Bassini, via Valvassori, via Saccardo).
L’autore del libro ha anche un amico suo coetaneo, si chiama Milietto; il padre di Milietto è comunista e fa il barbiere.
Si può capire che le amicizie di Carlo Castellaneta sono molto diverse da quelle di suo padre, che invece frequenta persone compromesse col fascismo.
Caduto Mussolini il padre dell’autore perde il lavoro, perché in azienda sono note le sue simpatie per il Duce. Carlo Castellaneta invece ottiene un lavoro tramite il partigiano Ottavio. Si verifica così in famiglia la situazione anomala, per cui il padre è disoccupato ed il figlio lavora: al dissidio legato alla politica si aggiunge quindi anche quello di tipo famigliare.
Il padre dell’autore rimarrà sempre fascista, senza cambiare le sue idee. Solo nelle pagine finali del romanzo, ci si accorge che è possibile una riconciliazione tra padre e figlio. Questo può avvenire solo a patto che il padre, che nel frattempo aveva lasciato il tetto coniugale, ritorni in famiglia.
Il libro parla di un viaggio poiché i due, padre e figlio, compiono un viaggio in treno verso la Puglia (terra di origine dei Castellaneta); questo viaggio propizia la riconciliazione finale.
Sandro
ven
04
nov
2016
Utente Facilitatore in psichiatria
"...Un Esperto supporto alla pari è un utente di un servizio psichiatrico e ha un disagio psichico in fase di recovery; ha acquisito la capacità di convivere con la sua malattia, di avere un grado elevato di consapevolezza di sé, ha attuato strategie che gli permettono di affrontare le crisi e trasformarle in opportunità per crescere, ha quindi capacità di resilienza; un ESP ha un approccio positivo e possiede doti di creatività, è in grado di fronteggiare e superare eventuali ricadute, è in grado di avere un’occupazione e una vita sociale soddisfacenti; non è guarito in senso clinico dalla sua malattia, ma è riuscito ad avvalersene per utilizzare la sua sensibilità e la sua esperienza per creare un legame di ascolto e di empatia con l’utente che gli è stato affidato. Collabora attivamente con l’équipe e talvolta ne fa parte."
per leggere l'intero articolo di Vittorio, scarica il seguente file pdf:
lun
24
ott
2016
Il sorriso di Deborah
I giornali riportano la tragica notizia di una donna di colore di 66 anni, il suo nome era Deborah Danner, uccisa a New York dalla polizia.
Non è il primo episodio di violenza da parte delle forze dell'ordine nei confronti dei neri e degli ispanici, ma qui l'episodio è ancora più drammatico di quanto abbiamo sinora visto in quanto non ci sono giustificazioni di minacce.
Deborah era una donna di 66 anni affetta da schizofrenia e la polizia era stata chiamata perché era in uno stato di agitazione per una periodica crisi: la sua unica “arma” era una mazza da baseball.
Un poliziotto ha freddamente sparato per uccidere, pur sapendo che non aveva di fronte un criminale ma una donna sofferente già conosciuta alle forze dell'ordine.
“Abbiamo sbagliato”, ammette il capo della polizia, ma resta l'accanimento ripetuto verso gli emarginati e i diversi, ben compreso da Deborah che nel suo diario confidava che “le persone con demenza non sono più considerate persone”.
Eppure il ritratto fotografico pubblicato ci mostra una donna con un bel sorriso ed una gran voglia di vivere una vita normale: lavorava nel campo informatico quando le crisi lo permettevano e faceva il possibile per allontanare lo spettro della malattia. Il suo coraggio non veniva ricambiato e anche i familiari si erano allontanati, ma nel diario non si piangeva addosso, ritenendosi fortunata rispetto ai malati psichiatrici in carcere o in strada senza assistenze e cure. Aveva la forza di sorridere pur nell'abbandono e nella malattia e la bellezza di questo viso spento dalla stupidità e dalla cattiveria ci rattrista e ci ammonisce nella speranza che il messaggio di questa donna venga raccolto.
leggi l'articolo: http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/16_ottobre_21/new-york-uccisa-polizia-casa-aveva-scritto-sua-schizofrenia-93f6b214-9775-11e6-bd66-b2bce124488b.shtml
Ettore
foto da mangoquenette.com
ven
07
ott
2016
Serata cultura: la scuola
Ieri alla serata cultura abbiamo piacevolmente parlato di scuola, mescolando ricordi e impressioni sull'oggi. Erano presenti alcuni insegnanti, che hanno descritto i loro metodi per adattarsi al cambiamento dello stile di vita dei ragazzi negli ultimi tempi.
A quanto risulta oggi non si richiedono più agli alunni obiettivi di conoscenza, ma competenze. Dal canto loro gli studenti non sembrano riconoscere più l'autorità degli insegnanti, supportati in questo dai genitori, i quali non si alleano con gli insegnanti - come facevano una volta -, ma prendono subito le difese dei figli al primo problema disciplinare.
Ma cosa rende indisciplinati gli alunni? Intanto il non riconoscere il valore dei programmi
ministeriali, giudicati lontani dal loro vivere quotidiano, e perciò pesanti o noiosi.
Qualcuno osservava di converso che la noia, lungi dall'essere deprecata, è qualcosa di cui bisognerebbe ricominciare a riconoscere il valore: chi si annoia è portato a trovare una soluzione creativa ai momenti di vuoto e anzi dovrebbe ancor di più apprezzare l'istituzione scuola, volta a colmare e stimolare tale mancanza di argomenti.
C'era poi chi difendeva la tesi dell'anacronismo degli insegnamenti: perché ad esempio studiando storia ci si sofferma su date e luoghi di battaglie del passato, senza mai giungere a discutere in classi i fatti della contemporaneità?
Per mancanza di un distacco temporale che favorisca la riflessione, rispondeva qualcun altro.
E noi, che studenti eravamo? In generale il desiderio prevalente è - come appare naturale, ma alquanto difficile da soddisfare - quello di essere visti, ovvero di avere insegnanti che, trasmettendo il sapere, siano anche in grado di riconoscere il portato emotivo che sta dietro alla consegna di tali conoscenze.
In più di una persona ieri sera si difendeva l'autorità - forse meglio chiamarla autorevolezza - degli insegnanti come dato di valore nel processo educativo; sommando le due caratteristiche potremmo dire che un buon insegnante è colui che, ben saldo e appassionato del proprio sapere, lo trasmette tenendo in considerazione l'individuo che c'è in ogni alunno.
Non un programma personalizzato, quindi (anche se c'è chi sente nostalgia per quelle materie tecniche e pratiche che tanto giovavano alla scuola e che in Italia sembrano essere scomparse), ma piuttosto un'istituzione scuola che educhi alla buona cittadinanza tenendo conto delle esigenze e desideri dei singoli.
E perché no, una scuola anche bella esteticamente, dove tornare ritrovando le proprie cose e provare una piacevole sensazione di intimità e calore, come in una seconda casa abitata da un padre equamente ordinato e severamente affettuoso.
Livia
mer
28
set
2016
Access city award 2016
Quando si vince un premio è giusto esserne orgogliosi e sottolinearlo. E' il caso del premio “Access city award 2016” assegnato a Milano per gli sforzi e le realizzazioni già compiute allo scopo di rendere meglio fruibile la città ai disabili.
Se vogliamo fare una graduatoria la nostra città risulta essere tra le prime in Europa in termini di accessibilità dopo Goteborg, Basilea e Salisburgo e, quindi, prima di tutte le grandi città metropolitane. Di questo possiamo andare fieri perché vuol dire un riconoscimento anche ai lavori urbanistici compiuti in preparazione dell'Expo, attuati con un'attenzione particolare a queste problematiche.
Le persone con disabilità sono anche persone che, nella maggior parte dei casi, svolgono un ruolo attivo nel lavoro e nella vita sociale e non si possono aggiungere problematiche architettoniche o impedimenti ai loro movimenti. In effetti negli uffici pubblici, nei teatri, nei mezzi di trasporto si sono introdotte modifiche di accesso, in modo da rendere fruibile gli spazi anche a persone con problemi motori e questa è una conquista non da poco ma ancora insufficiente per chi deve affrontare la quotidianità: nella ricerca di un taxi attrezzato, di servizi igienici idonei ed altro ancora.
Se ci guardiamo intorno vediamo tutt'ora una serie di impedimenti ai movimenti dei mezzi utilizzati dai disabili, tali da far dubitare della correttezza del premio. In questi casi è meglio essere concreti: in un supermercato vicino a casa non sono stati realizzati gli scivoli per le carrozzelle ed un disabile, non potendo accedervi deve chiamare un commesso per pregarlo di effettuare la spesa per suo conto. Davvero inverosimile, sopratutto, alla luce del lustro del premio assegnato alla città.
Resta, dunque, ancora molto da fare nel privato specie in campo edilizio perché la maggior parte delle vecchie costruzioni e dei vecchi esercizi commerciali non sono stati adeguati e molti di noi hanno esperienza di persone anziane costrette in casa, perché il condominio non dispone delle strutture idonee per l'accesso esterno.
Questo premio alla nostra città deve essere, dunque, di stimolo per ulteriori progetti pubblici e di sensibilizzazione anche per la proprietà privata per un pronto adeguamento alle norme che già esistono.
Ettore
mer
28
set
2016
Drunkoressia
Una studentessa di psicologia, Silvia Ciabattoni, interessata ai fenomeni di malattia contemporanea, ci parla della Drunkoressia.
"Il desiderio di dimagrire non rimane strettamente legato all’alimentazione come nell’anoressia ma si concatena alla necessità di voler bere alcolici.
È fondamentale digiunare dal cibo (risparmiare calorie), per potersi permettere cocktail, vino, birra…"
foto da giornalesentire.it
Scarica il documento completo in formato pdf. Buona lettura!
sab
17
set
2016
Scuola e bullismo
La scuola è sempre e sempre sarà il debutto in società per tutti, anche per chi non è nobile.
I nobili, appunto: la nobiltà era un segno distintivo che
caratterizzava il concetto di famiglia nella forma più protettiva che la società poteva sostenere e perseguire fino agli inizi del '900.
Nella scuola allo stesso modo gli individui/bambini/ragazzi vivono una forma di famiglia allargata, all'interno della quale si sviluppano dinamiche di protezionismo antropologico che soccorrono alla mancanza della figura genitoriale, che si pensa sostituita dall'insegnante. Queste dinamiche hanno sviluppi diversi che accompagnano la crescita degli studenti con definizioni da classe: il secchione, lo sfigato, il bullo, etc.
Mentre i primi due sono legati alle performance scolastiche il terzo, il bullo, non si distingue per meriti o demeriti legati alle materie di studio ma si afferma per esprimere la naturalezza dell'essere umano che sviluppa una forma di protezione nei confronti del gruppo. Il bullo può essere tanti bulli o solo un bullo.
Le conseguenze del suo modo di esprimersi non sono mai appaganti, perché l'individuo che esercita violenza è quasi sempre emarginato dal resto del gruppo; forse temuto, ma quasi sempre emarginato dalla bellezza dei rapporti armoniosi che rendono gli individui sereni. Non si protegge mai un bullo, si proteggono le vittime del bullismo. In questo senso vorrei in collaborazione con Davide descrivere in breve un episodio che rappresenta quanto descritto nell'introduzione.
DAVIDE: "In terza superiore geometri un bullo mi disse dammi un pugno negli addominali ed io ascoltandolo tirai un pugno senza violenza per accontentarlo; lui non contento mi disse dammelo più forte; a quel punto lui si prese un forte pugno e mi sputò in faccia. Io non ho reagito."
ANDREA: "Dopo essere etichettato come secchione mi accorsi che i bulli mi davano fastidio. Da secchione divenni bullo ed un giorno sorpresi un neutrale (svizzero) in bagno che menava un certo Fabrizio R. Lo guardai e gli chiesi chi gli aveva dato il permesso di menare Fabrizio. Lui se ne andò velocemente senza darmi risposta..."
IL DIBATTITO E' APERTO E LE CRITICHE BEN ACCETTE
Andrea
(foto da mammaimperfetta.it)
gio
15
set
2016
Educazione e violenza
Ieri, durante la riunione del gruppo blog, abbiamo commentato un fatto di cronaca riportato sul “Corriere della Sera”: una ragazza adolescente è stata ripetutamente abusata, per tre anni, da alcuni uomini (di cui uno minorenne).
Ci ha colpito il fatto che i genitori, ed in particolare la madre, abbiano nascosto questo fatto.
Abbiamo poi parlato del bullismo, ed alcuni di noi hanno rievocato episodi capitati quando andavano a scuola; una nostra collega ha anche parlato di episodi di bullismo tra ragazze, quindi bullismo “al femminile”. Ci siamo riproposti di approfondire il discorso sulla scuola, anche tramite le serate della cultura.
Livia ha sottolineato l'importanza della cultura, proprio per combattere queste situazioni.
Sembra ci sia ultimamente da parte di alcuni genitori la tendenza ad abdicare al ruolo genitoriale, in pratica non sono più interessati all'educazione dei figli. Tutto questo necessita ancora di ulteriori riflessioni nelle future riunioni: ovviamente la mia è soltanto una proposta.
Sandro
mer
14
set
2016
Bullismo e cyberbullismo
Una proposta di legge della senatrice democratica Elena Ferrara (insieme ad altri firmatari) è già stata approvata al Senato e deve, ora, passare al vaglio della Camera.
Finalmente avremo un argine normativo alla violenza fisica e psicologia, allo stalking e alle minacce presenti sia nella vita
quotidiana che attraverso i socialnetwork, da facebook ai più recenti.
Questi strumenti di socializzazione occupano gran parte della giornata degli adolescenti e un articolo su L’Espresso del 12 settembre stima che il cyberbullismo riguardi il 7-8 per cento della popolazione scolastica con conseguenze devastanti sui soggetti più fragili, con esiti che in taluni casi giungono al suicidio della vittima.
Nell’esame del testo alla Camera sono previsti alcuni emendamenti per estendere la tutela non solo ai minori: la previsione legislativa viene, infatti, generalizzata in modo opportuno, indipendentemente dall’età, poiché anche persone adulte possono essere oggetto di queste forme di prevaricazione e portarne le conseguenze.
Un emendamento contempla l’attuazione di pratiche di prevenzione nelle scuole, responsabilizzando il capo dell’istituto per dare una tempestiva informazione alle famiglie.
Le sanzioni previste per gli autori di queste violenze sono severe, ma come sempre, più che alla punizione bisogna pensare alla prevenzione attraverso forme educative anche in ambito domestico che portino al rispetto dell’altrui personalità.
Ettore
(foto da archivio.atnews.it)
mer
06
lug
2016
Corruzione e riciclaggio
Sembra incredibile come il potere possa ubriacare le persone, forse favorendo una perdita di confine dell'io, ma comunque autorizzando comportamenti così gravi che un provvedimento alternativo alla pena potrebbe consistere nell'aiuto a persone con disagio psichico, in quanto corruzione e furto vanno gravemente a danneggiare la mente di tutti e la speranza che vi sia un modo corretto di gestirci.
Roma: corruzione e riciclaggio, decine di arresti (Repubblica.it)
Francesco
mer
29
giu
2016
La beccaccia
I cacciatori conoscono bene la beccaccia ed apprezzano le sue carni pregiate. Si appostano nei boschi nella speranza di scorgerla e la canna del fucile segue con trepidazione il suo bel volo simile alla farfalla.
E’, dunque, una preda ambìta, un oggetto del desiderio per i cacciatori ma, sembra incredibile, la beccaccia mi è apparsa, proprio in sogno, ma come una visione reale, tanto che ne ho una memoria nitida e precisa.
Sì, ricordo il lungo becco caratteristico dell’animale e mi pareva un’arma puntata nei miei confronti. Non era, insomma, un incontro amichevole come con un fringuello o un pettirosso, ma il lungo becco avanzava minaccioso verso di me con intenti poco simpatici. Fortunatamente un nutrito gruppo di rondini volteggiava attorno ed il loro stridio ha confuso e spaventato la beccaccia che mi ha lasciato incolume.
Al risveglio ho ripensato al sogno e l’ho raccontato agli amici nella speranza di avere un aiuto nel dare un significato al sogno che, secondo tradizione, dovrebbe esprimere qualche desiderio inconscio, qualche momento oscuro che appare in forma simbolica, ma non ho avuto indicazioni.
Spero che qualcuno da queste righe possa trarre qualche spunto di riflessione da discutere per, poi, andare insieme a mangiarci una beccaccia al forno.
Davide
mar
28
giu
2016
Contenitori Politici di Massa
Una riflessione sui rapporti fra le emozioni della massa, spesso rappresentate dai politici, e il destino delle emozioni personali.
Quanto cioè i due ambiti possono interfacciarsi e relazionarsi nel rapporto fra modi di ammalare e modi di organizzare emozioni consentite o non consentite.
Viene proposto sia come materiale preparatorio all'incontro di giovedì 7 luglio, sia come spunto per pensare ai legami fra vita del singolo e organizzazioni emotive sociali, tema emerso nelle serate della cultura.
Scaricate il pdf per leggere l'intero documento.
gio
23
giu
2016
Sogno
Sono a San Francisco, sono sulla baia, vedo il Golden Gate. Si fa sera. Ho addosso una certa agitazione, sento che qualcosa sta per succedere. Nel cielo vedo del fuoco. È un aereo con i motori in fiamme. Sudo, lo seguo con lo sguardo, vorrei fare qualcosa.
Mi sembra di essere Superman, ma sotto effetto di kriptonite. Io non rischio la vita, ma soffro, soffro per quelli che sono lì sopra. È come se li sentissi, come se provassi la loro paura, il loro panico, il loro dolore, le loro ustioni. È come se sentissi tutte le sofferenze del mondo, essere salvo non mi consola, perché sono così impotente? perché non posso fare niente? Il sogno finisce qui e qui inizia il mio sogno ad occhi aperti.
Io ho paura di volare, la mia fobia più forte. Paura di volare, sentirmi addosso le sofferenze. Le mie sofferenze, le sofferenze degli altri. Queste sofferenze mi impediscono di volare. Ho detto, mi sento Superman, ma ho addosso la Kriptonite. Quanto sofferenza ho assorbito? So che per salvare quei poveretti che sono sull'aeroplano in fiamme prima devo salvare me stesso. Quando entrerò in contatto con le mie fobie, le mie paranoie, i miei attacchi di panico e li accetterò e poi li lascerò andare, spazzerò via la kriptonite e tornerò in possesso dei miei super-poteri.
Inutile pensare al passato, inutile pensare alla ferite che mi sono state inferte o che mi sono fatto inferire. Inutile pensare al futuro, vagheggiare un futuro, senza sofferenze, senza attacchi di ansia e di panico. C’è il presente, c’è il mio soffrire per tutti quei poveretti, c’è il soffrire per me stesso. Da qui devo partire, da ora. Accettare questo dolore e affrontarlo, accettarlo.
La mia paura è la loro paura. È presente, la sento. Ma posso vivere con questa paura. Forse l’aereo non precipiterà, ma riuscirà a fare un atterraggio di fortuna e io essere lì ad aiutarli. Forse riprenderà quota. Forse cadrà, ma anche questo va accettato, prima o poi il nostro aereo smetterà di volare, ma non per questo dobbiamo rinunciare ai nostri viaggi. Il nostro viaggio è la nostra vita.
Roberto
foto da www.comicsblog.it
lun
13
giu
2016
Articoli interessanti
Ecco alcuni articoli interessanti trovati su www.repubblica.it.
Cliccate sul titolo per leggere l'intero articolo.
Buona lettura!
Roma, tenta di strangolare il figlio di nove mesi e picchia la convivente
Milano, Paolo Berlusconi difende l'operazione 'Mein Kampf': "Razionale e ragionevole"
Le nuove madri di Plaza de Mayo: "Le nostre figlie rapite per farne prostitute"
Sunspring, il primo film scritto dall'intelligenza artificiale
ven
10
giu
2016
Il canto degli uccelli
foto da it.freepik.com
IL CANTO DEGLI UCCELLI
E poi c'è questa cosa
del canto degli uccelli.
Li sentivo chiamare il mio nome,
dirmi "Brava!", o "Son qui!",
uno specchio sonoro
cui pedissequamente mi affidavo.
Li intercettavo coi miei malati ricettori
e traducevo i fischi in parole.
Non so dire l'effetto che mi fa
riconoscere il rischio che correvo:
la giungla era effimera, interiore,
ma il corpo antro reale seguiva di getto.
Li ho sentiti anche oggi a Reggio Emilia
e lì sono rimasta, con l'orecchio
ancorata alla musica dei loro becchi.
Ora, appena riavuta, penso a quanto
è pascoliana la mia scelta.
Oggi non li si ascolta più.
Reggio Emilia, 31 maggio 2013
Livia
gio
09
giu
2016
Terra
foto da www.fondazioneterradotranto.it
TERRA
Come albero senza radici, piantato mi scorgo, città di Milano.
Così tante mani in questa metropoli stringo. Eppure tra molti rivedo mio volto.
Non mancano amici, compagni, persone, ma un gruppo d'affetti, una casa, una patria che faccia sentire mia linfa vitale.
Un quarto di secol separa mio corpo da terra natia.
Le palme, gli ulivi, quel vento sul mare.
Talvolta ritorno, mi affaccio a quei luoghi e sento mio cuore rimasto tra scogli, tra pietre, tra schizzi, tra l'erba, tra i rovi.
Intanto mi curo, mi ascolto, ma resta ricordo nostalgico addosso.
Perduto è il lavoro, passate passioni, già resto felice, ancor fortunato se posso gridare che amo, che vivo, che scrivo.
Che gioia se accanto mia sposa, mia bimba. Famiglia sei centro dei miei desideri.
Sorrido se penso alle scelte passate.
Considero quelle le sole possibili allora; tornato ora è tempo per mescolar carte?
Occorre rischiare, cambiare, tornare già sopra quei passi, guardando davanti.
Mi serve dell'altro.
Fiducia in me stesso, tornare a sperare per essere ancora con gli altri l'ilare, capace d'amare.
Se fosse futuro che affolla la mente?
Ritroverei abbracci o solo altra gente?
15 marzo 2016
Fabio
gio
09
giu
2016
Bellissima primavera
foto da it.freepik.com
Bellissima primavera
Le cose più belle sono quelle che ti costringono a non pensare...
Oggi è venuto a trovarci un piccione.
Bellezza
A volte basta fermarsi un po’ a vedere la bellezza...
C’è un angolo di verde:
Ho voglia di stare un po’ in pace,
Ho voglia di respirare la pace per un momento
Ho voglia di andare via.
5 maggio 2016
Cristina
gio
09
giu
2016
Piramidi a rischio?
"L‘Isis continua a mostrarsi furente e violenta non solo verso le persone, ma anche verso le opere d’arte e tutto ciò che secondo lo Stato Islamico va in qualche modo contro la loro religione, o meglio il loro modo estremo ed integralista di interpretarla. Dopo aver distrutto una parte delle antichissime mura di Ninive, risalenti al 4750 prima di Cristo, la tomba del profeta Giona a Mosul e più recentemente antichissime opere d’arte custodite nel museo di Ninive, oggi i sanguinari miliziani fedeli al califfo Abu Bakr al-Baghdadi hanno raso al suolo con i bulldozer l’antica città assira di Nimrud, fondata nel XIII secolo a.C..
Adesso, dopo aver compiuto l’ennesimo scempio contro la storia dell’umanità stessa, l’Isis ha lanciato via internet una fatwa contro le Piramidi e la Sfinge in quanto “idoli” contrari alla fede islamica poiché simboli dei faraoni dell’antico Egitto."
(foto e articolo da www.direttanews.it)
leggi l'intero articolo cliccando qui
gio
09
giu
2016
Sanità negata
"Più cure, ma solo per chi può pagare. Se infatti è arrivata a 34,5 miliardi di euro la spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dai cittadini italiani, sono diventati 11 milioni nel 2016 gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagarle di tasca propria..."
(fonte: www.repubblica.it)
Leggi l'intero l'articolo cliccando qui
foto dal sito www.rifondazione.it
lun
06
giu
2016
Pubblicità e accoglienza
Sul Venerdì di Repubblica strana pubblicità dell'Austria che dalle cronache si distingue per barriere e intolleranze. Propone uno slogan veramente mistificatorio: "arrivare e rinascere"...
dom
05
giu
2016
Aiutare gli altri
Perché aiutare gli altri? È molto semplice, lo faccio per me. Mi sento meglio se aiuto una persona. Mi sento in comunione con lui, non mi sento solo. Questa è la rivoluzione che pratico, cercare di essere una brava persona, ho mille difetti, mille egoismi, ma il mio cambiare questo mondo comincia dal cambiare me stesso, lavorare su me stesso.
Essere onesto non significa essere remissivo o fesso. Essere onesto è anche far rispettare i propri diritti e combattere a fondo per una causa che ritengo giusta. Sono per la non violenza, sono affascinato da personaggi come Martin Luther King, il Mahatma Gandhi e Thich Nhat Hanh.
Cerco di capire il punto di vista dell’altro, anche e soprattutto chi è molto difficile per me. Penso che tutti siamo fatti di bene e male, sono presenti entrambi in ognuno di noi, è la consapevolezza che fa la differenza, essere presenti nel qui ed ora. La sofferenza è necessaria, senza sofferenza non conoscerei la gioia, l’entrare in contatto con la sofferenza, accettarla e accompagnarla fuori di me è la via per comprendere la gioia. Cosa ho trovato a Basti-Menti? Ho trovato una famiglia, un porto sicuro, amicizia, la possibilità di scrivere, discutere, recitare, ballare, aiutare, essere aiutato ed aiutarmi.
Cosa c’è di più bello di un porto sicuro? Ho scelto di impersonare un pirata, Bob Sparrow, perché mi sento pirata, sento di navigare tra mille difficoltà, senza conoscere quale sia la mia meta, meglio: la mia meta è il navigare. Ho mille paure, mille sofferenze e sapere che nella difficoltà posso far rotta verso la baia di Basti-Menti è di grande conforto.
Sentirmi bene è anche aiutare un altro, comprendere le sue necessità, le sue paure. È come capire me stesso e forse lo è. Sapere che ho allietato la sofferenza, la solitudine o le paure di una persona è sapere che sono in contatto con lui, che non vi è separazione tra noi due e che due sofferenze possono dar luce alla gioia. Mi sento rivoluzionario e trovo che Basti-Menti sia rivoluzionaria. Medici, pazienti, persone di cultura, normali cittadini tutti sullo stesso piano, tutti che lavorano su se stessi per essere d’aiuto agli altri. Non mi sento mai solo, so che c’è il mio porto sicuro. Posso veleggiare in tempesta, aver paura, anche panico, ma so che c’è una casa che mi aspetta, calore che mi aspetta, vicinanza. Tutto questo è Basti-Menti, per me IMPORTANTISSIMO.
(immagine presa dal sito lamenteemeravigliosa.it)
Roberto
dom
05
giu
2016
Abramo Lincoln: paladino di libertà
Il libro di Tiziano Bonazzi parla di Abramo Lincoln, il Presidente americano della Guerra di Secessione tra nordisti e sudisti.
Lincoln era figlio di genitori calvinisti, ed era originario del Midwest; era un avvocato di provincia che militava nel partito Whig. Il partito Whig era un partito votato al progresso, e propugnava la libertà per ciascuno di migliorare la propria condizione.
Nell’America del diciannovesimo secolo molti calvinisti erano Whig, in quanto credevano nel cosiddetto self-developement: a ciascuno doveva essere data la possibilità di sviluppare la propria personalità e giungere all’autorealizzazione.
Quando Abramo Lincoln diventa Presidente degli Stati Uniti, egli si scontra subito con gli Stati schiavisti della Confederazione: Lincoln è infatti convinto come John Brown, altro abolizionista della schiavitù, che ogni uomo debba avere il diritto di sviluppare liberamente le proprie facoltà. Questo scontro lo porta a dividere l’Unione in due blocchi, ed a causare una guerra civile che porterà l’America all’abolizione definitiva dello schiavismo.
Lincoln era un seeker, cioè un laico che cercava Cristo, ed un progressista in politica: egli credeva nel positivo sviluppo della Storia, e nella possibilità di un approdo ad un mondo migliore.
Sandro
lun
30
mag
2016
Nuovi modelli educativi...
Giappone, bimbo disperso nel bosco: lasciato solo dai genitori per 'punizione'
Ha solo 7 anni Yamato Tanooka, il bambino scomparso su una catena montuosa in Giappone, vicino alla cittadina di Nanae-cho (Hokkaido), nel nord del Paese. A denunciare la scomparsa sono stati i genitori che hanno aspettato alcune ora prima di fare la denuncia per paura che si scoprisse la causa: lo hanno lasciato nel bosco per punizione, in quanto aveva tirato sassi contro le auto e i passanti. Poi, verso sera, hanno chiamato la polizia e hanno raccontato che il bambino era andato a raccogliere verdure selvatiche con la sorella. Ma la verità è venuta fuori. Le squadre di soccorso sono alla ricerca del bambino, sulla montagna che è nota per essere la patria di orsi selvatici
(da www.repubblica.it del 30.05.2016)
mer
18
mag
2016
Notizie di cronaca
Alle brutte notizie che la cronaca quotidiana ci riserva, fortunatamente, non ci abituiamo, e conserviamo un moto di indignazione e di incredulità, segno che siamo reattivi e che certe notizie ci feriscono. Bisogna, però, registrare che questi fatti assumono una frequenza, verrebbe da dire una quotidianità, che rischia di renderli usuali se non ci fosse, appunto, un moto di indignazione individuale e speriamo anche collettivo.
Il ventaglio delle notizie spazia da efferati delitti come la vicenda romana che ha visto la morte orrenda e gratuita di un giovane, a femminicidi originati dalle più svariate cause, a vicende endemiche di corruzione e malaffare davanti alle quali diventa difficile, anche se doveroso, fare un “distinguo”.
Ci sono, poi, una serie di episodi che devono risvegliare le coscienze per una particolarità che li accomuna: la fragilità fisica e morale delle vittime che nello specifico sono bambini degli asili e malati psichiatrici ricoverati in una struttura privata “convenzionata”.
Sono stati documentati, infatti, maltrattamenti in un asilo - e non è un caso isolato - da parte di educatrici che per il ruolo, l’esperienza e la preparazione specifica avrebbero dovuto accudire quei bimbi e non sottoporli ad angherie certamente non educative. Nel caso dei malati psichiatrici si è riversata su di loro una violenza fisica da parte degli assistenti sanitari che sorprende per la rabbiosità con la quale veniva attuata. I giudici nella sentenza hanno esplicitamente parlato di “determinazione criminale” e di “violenza insensata” attuata dagli operatori: sono termini molto crudi che descrivono bene la difficile situazione dei pazienti costretti a subire angherie senza poter ribellarsi in quanto “incapaci”.
Gli interrogativi, riguardo a queste vicende sono molti, a cominciare dall’idoneità delle persone preposte ai servizi, all’organizzazione del lavoro, alla sorveglianza da parte delle strutture preposte, alle probabili coperture delle quali hanno goduto tutti questi personaggi. Un’aula d’asilo o una struttura sanitaria non sorgono solitamente in mezzo alla campagna e non occorrono orecchie particolarmente fini per cogliere l’anomalia di certe situazioni. Probabilmente ha influito anche un atteggiamento pavido da parte dei superiori e dei colleghi che non rende loro certamente onore. Resta il fatto che nella nostra società sempre più rispettosa, a parole, delle libertà individuali si riscontra, invece, una mortificazione delle persone indifese quali i bambini e i malati psichiatrici che come “diversi” appaiono con un ruolo estraneo alla società e sono non solo marginalizzati ma fatti oggetto di soprusi di tutti i generi. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, la vicenda della bambina autistica respinta dalla gita scolastica per la sua sola colpa della “diversità”. Bisognerebbe ricordare, invece, la necessità di un recupero di questa soggettività che deve diventare nuova ricchezza per la nostra società.
Voglio chiudere invece con una notizia di cronaca, questa volta positiva, appresa leggendo, sul “Corriere” l'editoriale di Marco Garzonio, noto psicologo e giornalista, a commento del fatto. Menziona, infatti, il successo di un progetto attuato nella nostra città per qualificare malati psichiatrici come guide museali, aprendo loro una strada di conoscenze e di contatti che li può finalmente togliere dall’isolamento della loro condizione. Scrive Garzonio: “E' una risorsa per la città contare su uomini e donne che hanno imparato a maneggiare i dolori della mente e a trattare con gli affetti che l'arte muove”.
E’ proprio questo l’indirizzo di stimolo, di coinvolgimento e di apertura all’esterno che persegue l’Associazione Basti-menti con le varie iniziative in corso e in progettazione che portiamo avanti con convinzione e determinazione, consapevoli - per usare ancora le parole di Garzonio - che “ i dolori dell'anima e della psiche sono una sfida al vivere comune: una grande, generale provocazione da accogliere, non da rimuovere”.
Ettore
mer
18
mag
2016
Resistenza al Trattamento e Autorità del Paziente
RECENSIONE di Resistenza al trattamento e Autorità del paziente (Austen Riggs Center) a cura di Eric M. Plakun.
2015 Ananke per Il Porto Onlus Ed.
Francesco Comelli
Nonostante i tempi stretti dalla nostra vita che indurrebbero a veloci letture e men che
meno a leggere recensioni, l'attraversamento dell'esperienza dei cari colleghi del
Riggs induce a rinunciare alla velocità ed alla logica che vi è sottesa, per immergersi
nel piacere del contatto con esperienze vive e meritorie proprio perché coraggiose. Il
coraggio di chi esplora nuove aree del setting, in controtendenza rispetto al
conformismo scientifico erede della crisi delle idee e della fiducia nella mente, senza
peraltro illudersi che si possa “guarire dalla vita”.
Recensire il libro curato da Eric M.Plakun e proposto nella sua veste fruibile al
pubblico Italiano da alcuni colleghi che condividono la sfida allo stereotipo delle
cure, come Correale, Corulli, Biaggini, non è pertanto un mero esercizio
intellettualistico, bensì un modo per trasmettere alcuni elementi oggi fondamentali
per lavorare con pensieri innovativi ed essenziali nel lavoro privato, pubblico,
comunitario o in generale psichiatrico e psicoanalitico. Sullo sfondo si percepisce
anche il crogiuolo che ha formato molti specialisti italiani in grado di lavorare
mediante i gruppi, nella Scuola della Sapienza, soprattutto nella presenza affettiva e
professionale di Claudio Neri e di Stefania Marinelli.
Un’altra radice che si coglie è quella degli psichiatri psicodinamici americani
(ricordiamo almeno Searles, Arieti, Fromm Reichmann, Pao, Kernberg e altri, legati
alle esperienze delle comunità di Main in Gran Bretagna), che ha proposto modelli
clinici e di lavoro che trovano qui uno sviluppo estensivo, a partire dal rapporto fra
cultura sociale e modi di ammalare o di curare, lasciando intravedere una critica
netta verso il sistema con cui si ha a che fare nelle cure dei pazienti e in particolare di
quelli con complessità particolari.
L’edizione italiana è curata da Marco Biaggini e dialoga con diverse esperienze di
qualità, ad esempio in Italia col lavoro dei colleghi della Comunità Il Porto.
Va subito detto che leggere nelle bibliografie (il testo fra l’altro è un importante
riferimento per la bibliografia della psichiatria psicoanalitica nelle istituzioni) i nomi
che ci accompagnano idealmente nelle giornate di studio e di lavoro è un conforto ed
un piacere che è spesso raro di fronte al riduzionismo statistico o biologico o anche
burocratico.
Gli autori sono parte dell'Austen Riggs Center che nasce ai primi del 900, che è un
dato significativo considerando il valore della storia nelle istituzioni: infatti quest’
esperienza nasce dal Dr. Austen Fox Riggs, medico internista di New York, che
cercò, dopo la sua carriera professionale un luogo tranquillo e sano per la cura della
tubercolosi di cui soffriva.
Egli nel tempo sviluppò una serie crescente di iniziative terapeutiche per curare le
malattie psicosomatiche, intuendo il forte legame fra malattie del corpo e della mente.
Va detto che l’attuale evoluzione istituzionale risente, credo più o meno
consapevolmente, della complessità del curare le persone senza scindere corpo e
mente, rimanendo ancorati al concetto di cure che riguardano i livelli diffiicli della
mente non disgiunti dalla storia del proprio corpo e dei traumi ad esso connessi.
La capacità di essere “aperti” di questo gruppo di lavoro si nota, peraltro in USA, nel
fatto che i pazienti hanno un ruolo attivo nel condividere principi naturali di cura e di
compartecipazione coi curanti ai progetti terapeutici, senza “lucchetti o serrature”
(Elmendorf e Parish). Ciò favorisce una rappresentazione, nel palcoscenico della
comunità, di una “scena teatrale” cui contribuiscono pazienti e operatori in
partnership. La visibilità, tema caro a Duez in Europa, diventa, così come la
pensabilità, una funzione metariflessiva che avvicina colleghi americani ed europei
nello sforzo di lavorare implicitamente o esplicitamente mediante i gruppi.
I pazienti ri-dotati di una loro autorità diventano così coprotagonisti e ciò sembra fare
del Riggs un luogo ressitente alla cultura dominante che prevede altro approccio, in
cui si collude più facilmente con il tentativo di non pensare o di anestetizzare ogni
aspetto della soggettività.
Ciò subito ci mostra come il processo storico di un’istituzione rimasta fedele a molti
aspetti fondativi, aiuti a comprendere la sua attualità, i suoi traumi e le sue
processualità, come elementi che hanno potuto diventare materia di crescita
esperienziale per l’ intero gruppo di operatori e saldandosi cosi con i pensieri di Kaes
e Correale sull’ istituzione come processo.
Ma usando il termine “operatori” non si intende un elemento standard, bensì il Riggs
pone la questione, prima ancora del paziente resistente, dell’operatore resistente,
ossia di quegli operatori o gruppi o insiemi di persone che possono aderire a
mitologie comunitarie difensive, ad esempio nel frequente timore che il paziente
manipoli, (in Italia si dice “ci è o ci fa”), oppure abbracciare lo stile delle comunità
tipo “club vacanze” (ossia luoghi di intrattenimento per non pensare o fare reali
esperienze), oppure ancora comunità vincolate a convenzioni e ricavanti ingenti
somme di denaro e quindi come luoghi di gestione del potere.
Per questi motivi il lavoro dell’équipe (Krikorian, Fowler) monitora almeno i
seguenti aspetti:
- esercitare una funzione di holding;
- valutare che l’équipe non diventi un oggetto di lotte di potere o che reagisca in tal
modo sulla base di condivisioni controtransferali, anche per la presenza di un setting
“aperto” che espone molto l’operatore;
- valutare che l’équipe non sia solo un meccanismo capace di gestire l’ansia senza
esplorarne il significato.
Questa équipe del Riggs ha quindi in toto trasferito su carta questa raccolta di metodi
ed esperienze empiricamente costruite (ovviamente su un common ground che li
caratterizza), che esprimono una prassi viva e coraggiosa in rapporto al mondo delle
idee sperimentali: questo testo ha anche lo scopo di mostrare cosa essi realmente
fanno nella pratica in tanti anni di lavoro del gruppo e di gruppo, nelle loro giornate.
Ciò riflette lo spirito di ricerca presente in questo Istituto e nel testo stesso, come
disponibilità a “fare lutti” da certezze o comprendendo l’impossibilità di affrontare il
lutto oggi in contesti sociali dove il postitivismo biologico o il riduzionismo
farmacologico allontanano un rapporto più corretto con il dubbio, il lutto e le
separatezze.
Molte di queste pagine possono porre la questione dei mezzi che abbiamo: partiamo
dall’estrema povertà di mezzi che abbiamo spesso a disposizione per affrontare il
grave disturbo mentale/esistenziale per trovare strategie eticamente corrette ma
coraggiose come quelle descritte nel testo.
Il libro riflette pertanto non solo le terapie o le pratiche, ma le questioni sul dopo –
trattamento, sugli enigmi esistenziali cui i nostri pazienti andranno incontro dopo le
terapie fatte, con una certa necessità di andare oltre al senso comune nello strutturare
dei setting di ricerca.
Ciò si traduce nella possibilità di interloquire con la propria ricerca di fronte a
certezze “incancrenite”, come d’altronde accade sempre a chi deve lavorare coi
pazienti gravi o richiedenti modificazioni dei setting o una riflessione su di essi.
Shapiro, decano degli autori, pur appartenente all’establishment psicoanalitico, si
caratterizza da anni come interprete del mondo dei pazienti “resistenti” ad ogni tipo
di cura e pertanto riflettendo e proponendo un vertice che implica un ripensamento
delle pratiche tradizionali che molti terapeuti o analisti faticano a compiere.
Ma, seguendo le riflessioni di Devereux, potremmo domandarci se essi sono pazienti
resistenti alla società? Questi pazienti cioè esprimono in un certo modo una distanza
dagli strumenti che la società ha approntato per loro, e quindi esprimono in qualche
modo una critica, una diversità, una protesta oppure sono i prodotti più conformi a
ciò che la società propone?
In altre parole i pazienti non curabili, non inseribili nei contesti previsti dalla società,
costituirebbero un problema di resistenza agli strumenti che la società ha previsto ?
Cosa si intende quindi per paziente resistente? Shapiro nel testo parla di pazienti che,
nonostante l’idea che tutto oggi sia più controllabile da tecnologia e scienza grazie
agli “specialismi”, hanno subìto gravi traumatismi infantili senza poter trasformarli in
elementi meno dannosi ed anzi adattandosi ad essi come parte non sana ma propria
della vita psichica. Vi è pure nel testo un riferimento anche alle componenti iatrogene
di questa resistenza, ed alla necessità di approcci molto differenziati e condivisi in
équipe relativi al paziente stesso ed alle sue caratteristiche esistenziali. Già questo è
un concetto che vale piu riflessioni, tra cui la domanda se essi non siano resistenti
anche ad una modalità della società di curare, incluse le standardizzazioni della
psichiatria e direi anche spesso ahimè di quegli psicoanalisti che non hanno trattato il
paziente grave.
In pratica il fallimento di molte riabilitazioni, ossia delle terapie decise quasi sempre
dai curanti o da gruppi di curanti rinuncerebbero a promuovere le autorità dei pazienti
o a valutare gli elementi esistenziali del paziente e della sua storia o il suo desiderio
di partecipazione culturale.
Questi elementi aprono a mio avviso ad un campo che per la psicoanalisi è stato un
campo difficile, quello dei gruppi, dove nei gruppi si pensa al conduttore come ad un
co-pensatore e un co-vivente (mi si perdoni il neologismo), aderente al campo
bipersonale o gruppale che si sprigiona dalla messa in gioco degli elementi piu
terapeutici presenti nel campo.
Pertanto la mente del curante nel Riggs è certamente valutata come un oggetto di
studio e di riflessione non secondario, a partire per esempio dal nostro modo essere
esposti al trauma come operatori ed alla traumaticità dei nostri pazienti.
Questa competenza sui contenitori dei nostri colleghi americani si è tradotta nella
storia del Riggs come una possibilità di intervento anche a livello dei contenitori
familiari, sociali e financo politici. Dunque vediamo l’ampio spettro di azione di
questo gruppo anche da queste ampiezze, proponendo una classe di colleghi clinici
non certo avulsi dalla vita sociale e dagli studi sui contenitori.
In questo senso si coglie l’attenzione allo studio dell’istituzione la cui comprensione
è ben differenziata da quella dell’ apparato amministrativo di organizzazione, benchè
essi siano in collegamento fra loro.
Da una tale organizzazione del campo e del gruppo, si tenta di invitare le persone alla
ricerca del soggetto: l’invito all’assunzione di responsabilità è un gesto di
riconoscimento dell’autorità del paziente come persona che può assumere un ruolo
importante nel comunicare ai curanti il proprio valore esistenziale primario,
facendolo diventare il proprio oggetto interno di crescita.
Come si comprende certamente il controcanto che sviluppa un progetto del genere è
verso la cosiddetta evidence based medicine, come si nota nei fili rossi sottostanti o
evidenti del primo capitolo (Fowler, Plakun, Shapiro), dove ci si domanda, senza
dirlo, cos’è in fondo la guarigione, con un’ampia disamina della resistenza al
cambiamento, indispensabile per chi vuole consocere l’argomento. Fra i fattori
favorenti la resistenza alle cure certemente si notano la riduzione del funzionamento
sociale e la comorbidità, ma anche l’assenza di alternative al solo trattamento
farmacoterapico o alla frammentazione proposta dal modello medico odierno
(frammentazione del corpo , frammentazione degli organi etc), senza un’ integrazione
fra elementi medici puri, ad es., i farmaci, e gli elementi psicodinamici, ad es. l’uso
del transfert e controtransfert per dare voce a stati emotivi non ancora rappresentabili.
Fra i fatti più difficili di un setting comunitario “aperto” e coraggioso nel valorizzare
l’autorità del paziente, sembrano indicare gli Autori, ci sono gli acting out dei
pazienti che mettono a dura prova la tenuta di équipes e pazienti stessi. L’indicazione
che esprime il testo è quindi quella di una radice bipersonale degli acting out, e a
maggior ragione degli enactments, dove la radice intersoggettiva aiuta a comprendere
la mente degli operatori in esperienza di gruppo. L’interesse per il funzionamento
dell’operatore in condizioni di difficoltà viene in qualche modo considerata degna di
investigazione tanto quanto quella dei pazienti e ciò, sebbene in maniera non
invadente, costituisce un punto teorico di fondo del gruppo di lavoro, come nel caso
dell’analisi del caso W., dove gli elementi del terapeuta sono stati visti come co-
influenzanti lo sviluppo di importanti acting out del soggetto .
La perdita di spontaneità legata al riduzionismo biologico arriva, negli esempi dei
colleghi, ad assumere un valore vero e proprio di difesa. Il paziente annovererebbe
oggi le difese scientiste come effetto di forme socialmente in linea con la cultura
dominante. Parlare di sé da parte dei pazienti come esperti del DSM o di farmaci
sarebbe una difesa socialmente accettata dalla società biologica occidentale, ma il
compito nostro sarebbe invece quello di aiutare le persone a dialogare, anche magari
partendo dal linguaggio scientifico, verso linee di maggiore integrazione fra mente e
corpo.
Uno degli impliciti di questo sistema difensivo, sostengono gli Autori, è la non
rappresentazione delle aree di dolore o degli stati emotivi non “agganciabili” da
queste difese, cosi da lasciare il soggetto pieno di stati emotivi non elaborati e
potenzialmente pericolosi, come nel caso del suicidio, cui viene dato ampio risalto
(Plakun). Il fatto di ridurre cioè tutto a sintomi o farmaci o a comportamenti già
incasellati o comunque nell’ordine della prevedibilità, lascerebbe scoperte le aree non
inseribili, come quelle che non sono direttamente rappresentabili o non ancora
pensate.
Ecco dunque motivata una psicodinamica della farmacologia (Mintz, Belnap), che
richiede un lavoro attorno al farmaco o sulla modalità in cui il farmaco interviene
nella cura e nei sistemi difensivi .
In molti casi può essere cioè importante potersi non affidare in toto alle speranze
farmacologiche, anteponendo il significato della prescrizione sull’effetto desiderato.
Cioè a dire che va valutato il grado di consapevolezza e di scelta reciproca e
condivisa sul farmaco non tanto come morale politically correct, quanto come ricerca
di un rimedio che non aumenti le aree di inconsapevolezza o di illusione automatica.
Meglio spesso accontentarsi di effetti minori ma sostenibili, piuttosto che allearsi con
un’aspettativa anestetica che si aggiungerebbe alle anestesie (peraltro utili) nelle cure
del corpo. La mente in questi casi non sarebbe il corpo biologico, ma avrebbe uno
statuto differente. Oppure ancora vi sono casi in cui il miglioramento biologico e
sintomatologico non sia ancora sostenibile da una personalità poco in grado di
elaborare ‘cambiamenti troppo repentini.
Ciò stride con le famose Linee Guida che nel mondo anglosassone, e ormai anche da
noi, appaiono come una sorta di vademecum che riparerebbe da malpractice (vedi l’
aumento delle cause) o dal sentimento di esclusione dalla società scientifica per gli
psichiatri che non le applicano. Il contributo è pertanto ancora più meritorio
avvenendo nella madrepatria delle linee guida.
Il Riggs fornisce quindi un’alternativa alla evidence based medicine tout court,
sostenendo che gestire, controllare e dirigere le cure dei pazienti mediante linee
guida corrisponderebbe ad un solo pensiero statistico, ma soprattutto ad una
passivizzazione dell’ autorità del paziente, che in tal modo non avrebbe più un'
autorità ed una attività nel pensare assieme ai terapeuti un priprio progetto di cura. Il
modello evidence baed si alleerebbe con aspetti sociali che tendono al non pensiero,
all’azione, in maniera speculare a molte difese dei pazienti stessi, evacuando i
problemi e non metabilizzandoli in comune. La complessità e l’unicità del soggetto
sarebbero elementi fondamentali per conoscere in un ambito dialogico le ambiguità
che proprio richiedono di non prendere decisioni immediate, certe, costruendo cosi a
partire dalle criticità un progetto sostenibile per la struttura ma anche per il paziente
stesso (Marilyn Charles).
Il coraggio dei colleghi del Riggs si estende allo studio dei fallimenti del nostro
lavoro, che è spesso un altro elemento che sfugge o che viene scotomizzato o ancora
che necessita di un gruppo di lavoro per poterlo contenerre e trasformare (Fromm,
Muller, Tillman).
Il trasfert negativo sembra uno degli elementi di difficile tolleranza in questi casi che
daranno esito a relativi o totali fallimenti. Ciò ci porta a pensare quanto sia necessario
trovare antidoti al narcisismo istituzionale e una via diretta per poter trattare nell’
équipe tali fenomeni. L’impostazione mette assieme i fenomeni specifici dell’ analisi
quali l’odio nel controtransfert, con la clinica gruppale, dove l’ odio può essere una
funzione da condividere nel gruppo operatori. Mi sembra un valore dei contributi
(Plakun) quello di pensare che il controtransfert negativo sia un importante
meccanismo di lavoro e di contatto con emozioni difficilmente integrabili o
socialmente poco belle, soprattutto nelle nostre società conformiste del think positive.
L’apertura ai sentimenti dell’analista e ai suoi tentativi di andare al di là del ruolo
professionale, senza perdere confini o funzioni, facendo capire la sua presenza umana
come parte del suo lavoro, paiono evidenti: cosi non solo il rapporto dell'analista con
l’odio o coi sentimenti non accettabili, ma la sua paura, le sue fragilità integrate con
le proprie parti più propositive e terapeutiche, risultano essere fattori vincenti con
pazienti difficili.
Una delle possibili vie trasformative per poter tutti lavorare con modalità di apertura
è quella che indica Fromm sul trauma. Egli propone una prospettiva di lettura del
trauma presente nell’identificaizone col genitore e più in generale nelle condizioni in
cui il genitore perde il proprio equilibrio per una vita trauamatica, affidandosi
inconsapevolemnte al figlio per recuperare un proprio benessere. Il figlio in tal modo
dovrà vivere quelle aree che il genitore evacua o non riesce a gestire. Propone di
considerare le aree di sincronizzazione inconscia genitori - figli sulla base dei pesi dei
traumi capaci di sconvolgere i funzionamenti familiari.
Si coglie nelle sue righe anche una ricerca nel setting, con alternanza fra sedute
familiari e sedute individuali, senza perdere di vista l’autorità del paziente che può
gradualmente trasformare l’io da oggetto del trauma all’io che acquista (mediante il
rapporto col proprio inconscio) le capacità per accogliere e curare il proprio trauma
ereditato o non integrato. In altre parole l'inconscio del soggetto come ricorda Freud
avrebbe la capacità di comprendere l'inconscio di un altro e ciò può passare da
meccanismo automatico di soccorso all'altro, a meccanismo di lavoro per la relazione
col curante – traduttore dei significanti.
Questa terzietà dell'analista traduttore (Muller) avviene nei casi in cui l’inconscio del
l’analista può interpretare e sognare questi scenari prima o con il paziente, offrendo
anche una terzietà nel senso di fare evolvere le tecniche di cura psicoanalitiche; cioè a
dire, porsi come terzi rispetto al rapporto con autori o con prassi strutturate per
immaginare i contenitori con cui analista e paziente hanno a che fare per lavorare
assieme. Si riflette cioè sullo spazio nuovo nella coppia come nel caso del “terzo” e la
terzietà, dove lo spazio terzo non è ancora l'altro e non è piu sé. Il terzo come oggetto
idealizzato trova quindi una forma più condivisa che diventa nel tempo un referente
per paziente e analista, così da passare da un terzo totale e di ognuno alla
condivisione del terzo stesso. Il terzo non pensato può essere pertanto un elemento
forcluso, non attraversato e neanche concepito. È nel suo concepimento come
generazione “di un nuovo bambino” che il terzo acquisisce lo spazio e il senso di un
luogo che verrà abitato, piuttosto che un luogo già abitato.
In questo senso il terzo non è un “non- me” o un “non te”, ma un non – noi,
possibilmente capace di mantenere una triangolazione verso l’ignoto in una coppia.
L’ignoto generatore, evolutivo, può contribuire quindi ad un ignoto pensabile rispetto
al consociuto non pensato di Bollas.
Nell’esperienza pratica ciò significa che la capacità di relazione può offrire una
alternativa all'uso indiscriminato di “cose” , ad esempio farmaci, volti a ostacolare la
relazione stessa o all'uso delle riabilitazioni come parcheggio, cosa che al Riggs non
avviene forse anche per la consapevolezza del lavoro con gli operatori,
differenziando normali esigenze tecniche o istituzionali dalle aree di collusione al non
pensare, non relegando cioè il lavoro ad un automatismo e ad un funzionamento di
massa.
Il testo quindi attraversa le aree di crisi della psichiatria per proporre possibili cure
mediante strumenti comunitari costruiti su un sapere psicoanalitico che ha dovuto
passare da un'immersione nel mondo contemporaneo per rafforzarsi, rinunciando a
sterili chiusure, ma anzi essendo cimentato col paziente grave e con la sua
residenzialità.
Si nota come le risorse dei gruppi siano primariamente le risorse del gruppo dei
curanti e del progetto che da anni, forse diremmo da generazoni, trasmette un sapere
alla équipe stessa del Riggs.
Ciò evolve anche in un lavoro attento sulle resistenze familiari ai trattamenti, viste
pertanto come un eleento importante che necessita di spazi adeguati e di holding per
rappresentarle (Schwartz). Trattiamo infatti “dinamite” pensando alle idee inconsce
trasmesse fra generazioni, non elaborate come traumi e capaci di ripresentarsi sotto
forma di psicopatologia individuale. Tale parte si ricollega con i lavori di molti
studiosi di cui credo importante ricordare le esperienze di Pellizzaro e Borgogno
Francesca a Milano.
In sostanza uno degli inviti nel libro è quello di non avere paura dei fallimenti o delle
difficoltà che emergono come resistenze ma partire proprio dal senso di questi atti,
acting out ed enactemnts per dotare di senso l'intero processo. Ciò appare come n
elemento in controtendenza rispetto alla cultura del “tutto positivo” che ammorba la
mente di adolescenti e di adulti, compresi gli operatori che non possono spesso
essere aiutati ad esprimere le aree di fragilità o di resistenza utile e costruttiva .
Facciamo pertanto circolare la domanda che si percepisce a livello di prassi: infatti
sempre più possiamo interrogarci intorno ai confini della mente individuale rispetto
alle organizzazioni emotive della massa ed ai fenomeni che sembrano attraversarli:
osando di più potremmo interrogarci su come il pensiero di massa abbia sostituito un
meccanismo di funzionamento della singola mente e dei suoi gruppi culturali.
Concludo con un'associazione di una giovane collega (Cappini) sui pazienti resistenti,
da lei sentiti tali perché, forse, non c’è un altro a cui bisogna resistere.
ven
22
apr
2016
Deboli e aguzzini
“La bellezza dell’uomo si nota dal modo in cui non si approfitta del più debole”
Milan Kundera
Dopo la violenza - olio su tela - Alquati, Franco (1924-1983)
Milano, botte a malati psichiatrici: le telecamere filmano un pestaggio. Un arrestato e 3 indagati (LaRepubblica)
Clicca sul link:
mer
06
apr
2016
Uno sguardo curioso
Trasmettiamo la locandina della mostra di fotografie, disegni e incisioni allestita nella sede dell'associazione "Basti-menti Aps", in corso di porta Nuova, 3, a Milano.
Sono lavori di nostri soci artisti che potremo apprezzare, insieme, in occasione
dell'inaugurazione di giovedì 21 aprile.
Vi aspettiamo numerosi, pregandovi di segnalare l'iniziativa agli amici.
mar
22
mar
2016
Barbaro e disumano è chi li respinge
E' notizia di questi giorni che la British Library ha digitalizzato e messo online un manoscritto
inedito che è, in parte, attribuito a William Shakespeare: “The book of Thomas More”.
Nel testo Tommaso Moro (è il nome italianizzato) si rivolge alla folla di Londra tumultuante contro l'arrivo dalla Francia dei protestanti che fuggivano dalla persecuzione religiosa culminata nella notte di San Bartolomeo. Il motivo della rivolta popolare era dovuto, come accade ancor oggi, al timore della perdita di posti di lavoro a causa dei nuovi arrivati e la posizione è netta “barbaro e disumano è chi li respinge”, aggiungendo parole di commiserazione verso gli stranieri “derelitti, coi bambini in spalla ed i poveri bagagli”.
Queste parole assumono un rilievo particolare pensando che sono attribuite ad un filosofo e politico cattolico (fu fatto santo nel 1935 da Pio XI) che non erigeva barriere di carattere religioso nei confronti degli immigrati di religione protestante. Le vicende politiche e religiose di quegli anni erano, comunque, tormentate e Tommaso Moro, durante il suo cancellierato non esitò a mandare al rogo sei persone accusate di eresia per finire decapitato per essersi rifiutato di riconoscere Enrico VIII capo della Chiesa.
Questo ritrovamento del testo di Shakespeare e l'attualità del messaggio ci ricorda che nelle vicende storiche le violenze contro le popolazioni sono ricorrenti e che l'accoglienza nei confronti di chi fugge da guerre e discriminazioni è un dovere che dobbiamo adempiere.
Il tema degli immigrati è stato trattato in una nostra recente “serata della cultura”, fornendo dati su un fenomeno che, per quanto riguarda l'Italia, è gestibile data la presenza ancora marginale di stranieri sul nostro territorio, in rapporto a dati più rilevanti che si riscontrano in altri Paesi europei.
Non c'è, dunque, il pericolo di perdita di posti di lavoro, come temevano gli abitanti di Londra, ma anzi questi arrivi, correttamente distribuiti, rappresentano risorse demografiche e lavorative ormai indispensabili.
Ettore
mer
09
dic
2015
Un regalo a Gesù Bambino
Anche quest’anno è di nuovo Natale.
Lo si capisce, oltre che dal clima, anche dal constatare come tutti si scoprano improvvisamente migliori: gli sconosciuti si scambiano gli auguri, incrociandosi nei centri commerciali; si chiamano vecchi amici, che non si sentivano da anni, per renderli partecipi della recente promozione; le lettere di licenziamento riportano congratulazioni per il maggior tempo che si potrà dedicare ai propri cari durante le feste. La pace e l’amicizia pervadono ogni essere: anche i cani da guardia leccano le mani dei ladri, che, commossi, rinunciano all’impresa, pur sapendo di dover incrociare gli sguardi severi delle mogli e gli occhi velati di lacrime dei bimbi.
Per prepararsi meglio alla Santa Notte, ciascuno ruba qualche minuto al suo preziosissimo tempo per dedicarlo a cose inutili nel breve periodo, ma – non si sa mai – foriere di possibili sviluppi. Tutti sono intenti nel compilare il proprio personale inventario delle buone azioni dell’anno: “Dunque, vediamo… Ah sì! Ora ricordo! Mi si sono inumiditi gli occhi sulla tomba del nonno! Sono riuscito a mantenere il fioretto di non buttare la carta per terra! E quel giorno non sono passato col rosso, pur avendo molta fretta!” E il saldo del bilancio, miracolosamente, è sempre attivo.
Quanti posti in Paradiso che si vanno preparando! Sarà sicuramente overbooking!
E mentre tutti attendono, silenziosi e quasi tremando, il Tuo arrivo, Gesù Bambino, io mi domando: “Ma dove sei stato tutto questo tempo?”
Forse a cercare di fermare un’ennesima guerra, frapponendo il Tuo corpo tra le trincee e scoprendo attonito che le pallottole lo attraversano? O a sussurrare sillabe di speranza a poveri Cristi come Te, crocefissi ogni giorno? O ad offrire la salvezza anche ai prepotenti, ricordando loro che basta aprire gli occhi?
E perché non a dedicare a Te stesso qualche minuto della Tua povera vita tra gli uomini e per gli uomini, condannato a salvarli. Questa vita che si ripete ogni singolo giorno di ogni singolo anno per l’eternità. Tu che ti sgoli e ti sbracci per indicare la strada: “Aprite gli occhi! Aprite le orecchie! Aprite il cuore!”
E la ripeti ogni anno, questa recita! In giro per il mondo, contemporaneamente in ogni dove e in ogni quando.
Ritorni per l’ennesima volta con la solita vecchia missione di cambiare la Storia. Un po’ troppo, anche per un dio. Strilli la salvezza, già vecchio ancora prima di avere imparato a parlare, a chi si copre le orecchie.
Nel frattempo, Ti avviso, da queste parti ci sono stati alcuni cambiamenti: qualcuno, che l’anno scorso ha preso i regali, questa volta non li prenderà più; altri, che non li ha presi, non li prenderà nemmeno quest’anno; e chi non li meritava, continuerà a prendere anche quelli degli altri.
Ma Tu continui imperterrito a venire, confidando ogni anno in quello successivo.
E allora, quest’anno, facciamo noi un regalo a Gesù Bambino.
Non chiamiamoLo.
LasciamoLo sognare compagni di giochi corruttibili; buoi e asinelli che invecchiano e muoiono, e il ricordo del tepore del loro fiato; zollette di zucchero e poppate divine; ninnoli e caprette saltellanti, finalmente non più schiave della gravità.
E una vita non predestinata.
Quest’anno facciamoGli un regalo noi.
Non svegliamoLo.
Tanto Lui ci pensa lo stesso.
Antonio
dom
22
nov
2015
La Solitudine, parliamone
In un recente incontro tra gli amici del blog è emerso quanto diffuso sia questo sentimento e quanto pudore lo racchiuda.
Dichiarare di soffrire la solitudine sembra una forma di debolezza, un modo di non essere adeguati al contesto sociale, una denuncia di mancanza di risorse interiori. La confessione di un partecipante è stata invece accolta da tutti in forma liberatoria, quasi si fosse rotto un tabù. Voci concordi si sono unite a quell'intervento, sottolineando momenti concreti nei quali la solitudine è una cattiva compagnia.
Sicuramente, tra i possibili momenti di disagio, notiamo una sensazione di estraneità che ci prende quando mangiamo da soli in mezzo a muti sconosciuti.
Qualcuno ha scritto che mangiare da soli è qualcosa di umiliante, ma è anche eroico se pensiamo che va contro alla ritualità sociale che in tutti tempi ha associato al cibo i maggiori eventi della nostra vita, dalle nozze ai festeggiamenti delle varie ricorrenze.
Così anche un break lunch consumato senza interlocutori può diventare un momento di sofferenza nell’isolamento.
Dovremmo, invece, ribaltare la situazione: mangiare da soli non è un'umiliazione o una sconfitta, ma un momento di vittoria della nostra individualità che rifugge dal chiacchiericcio banale e pettegolo di un commensale non sempre gradito.
Quando mangiamo da soli siamo liberi anche in modo ribaldesco nei confronti degli altri e – pensate – possiamo anche mettere i gomiti sul tavolo, contro tutte le convenzioni!
Perdonatemi se ho un po’ “giocato” sul tema della solitudine. L'ho fatto prendendo spunto da una situazione frequente anche se marginale al problema, ben consapevole però di quanta sofferenza porti l’isolamento in molti momenti della vita, ad esempio in seguito ad una malattia, una depressione, un lutto.
Le pareti di casa sembrano diventare una prigione, ci manca un interlocutore con il quale instaurare un dialogo consolatorio e le nostre capacità interiori non sembrano in grado di rispondere alle aspettative. Qui vorrei passare la penna agli amici anche perché credo che la funzione di questo blog sia quella di raccogliere una coralità di voci che possano supportarsi vicendevolmente.
Voi che ne pensate? VI aspettiamo con una vostra riflessione.
Alla prossima puntata, dunque, sul tema della solitudine.
Ettore
gio
05
nov
2015
Il 2 Novembre
La ricorrenza dei Defunti è coincisa quest’anno con una splendida giornata d’autunno che era un vero e proprio inno alla vita. I colori autunnali delle foglie, invece di smorzare la gioia in cuore, rendevano il contesto ancor più suggestivo.
Ho voluto visitare il Cimitero Monumentale, oggetto di un recente intervento che ha ampliato lo spazio pedonabile antistante sottraendolo ai camioncini dei commercianti cinesi di via Sarpi: il risultato è decisamente più vivibile e di buon risultato estetico.
L’ospite è accolto da una diffusa coreografia di crisantemi forse d’effetto un po’ sanremese, ma è il giusto omaggio della città ai tanti illustri personaggi e agli sconosciuti che riposano nel camposanto. Il Cimitero Monumentale deve la sua fama alle importanti opere d’arte con le quali i congiunti hanno voluto onorare i defunti, tanto da essere definito “un museo a cielo aperto”. Accanto a edicole, obelischi o a templi “assiro-babilonesi”, edificati dalle famiglie più facoltose della città, c’è una notevole presenza di opere scultoree affascinanti per la loro espressività. Le statue non trasmettono, a mio parere, tanto un dolore per la perdita, ma l’attaccamento del ricordo. Così soldati caduti in battaglia sono riproposti nell’atto del sacrificio e spose o mariti vengono fermati in un momento di gioia familiare per tramandarne la memoria felice dell’immagine fisica.
L’arte funeraria è antichissima ed è presente in tutte le civiltà che hanno avuto il culto dei morti con la credenza in una resurrezione ed è singolare confrontare i vecchi monumenti funebri con le nuove realizzazioni. Oggi gli artisti, evidentemente su indicazione dei committenti, nel realizzare il monumento funebre ricorrono a virtuosismi di forme astratte e, in genere, si astengono dal ricorrere sia alla tradizionale iconografia sacra, sia dal riprodurre l’immagine del defunto. Sappiamo che l’attuale contesto culturale esorcizza la morte e la sua rappresentazione. Queste nuove forme di espressività artistica ne sono una riprova. Il monumento funebre contemporaneo è più un omaggio formale che una reale condivisione del dolore. Sentimento che nelle vecchie sepolture si manifestava anche in ingenui ricordi scolpiti, tipo: “madre virtuosa”, “padre esemplare” ...
Oggi, queste espressioni fanno sorridere per la loro ingenuità. Essa derivava da una realtà ben diversa, forse, ma erano pur sempre indicazioni valoriali che nel contesto attuale ci guardiamo bene dall’esprimere.
Ettore
mar
07
apr
2015
L’Originalità del Bene
L’emozionante racconto di Pietro Toffoli Marini dell’altra sera mi ha fatto venire in mente la famosa e controversa tesi di Hannah Arendt riguardo all’olocausto nazista, la cui sintesi sta nel concetto della Banalità del Male .
Secondo la scrittrice il male non è, come molti ritengono, qualcosa di mostruoso o demoniaco, termini che, seppure in negativo, rimandano a un che di scaltro, di potente e tutto sommato affascinante.
No, il male è qualcosa di molto più comune, normale, mediocre: il male è insomma banale.
Ciò non significa minimizzare i terribili atti commessi dal regime nazista (cosa di cui la Arendt fu accusata), ma comprendere ciò che spinge degli uomini ‘comuni’ a commettere quelle atrocità, trincerandosi dietro un semplice “ho solo eseguito gli ordini”.
La conclusione della scrittrice è che il male derivi dall’incapacità di pensare, di riflettere sulle proprie azioni che porta ad una cieca obbedienza alle regole. Solo in questo quadro infatti si può comprendere lo stupore di Eichmann, organizzatore dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento, che al processo di Norimberga non riusciva a comprendere le accuse nei confronti di chi, come lui, in fondo si era occupato “soltanto di trasporti”.
E così pure è possibile osservare quel ‘male’ raccontato e vissuto da Pietro nella sua infanzia, come la ‘terribile normalità’ di un male fatto di tanti piccoli gesti quotidiani: il non poter avere nel lager un po’ di acqua e sapone per lavarsi, il gerarca nazista che prima di scappare sputa addosso a sua madre con lui piccolo in braccio, il non essere ben accolto al rientro in patria in quanto ‘figlio della guerra’, i vari “lo faccio solo per il tuo bene” della madre adottiva, addirittura il furto della sua merendina da parte della suora che doveva accudirlo. Ma se questo è il male, la banalità del male, allora che cos’è il bene?
Ragionando per opposti, seguendo la Arendt, si potrebbe forse parlare dell’Originalità de Bene .
Se il male consiste nel non pensare e nell’agire meccanicamente poiché “così fan tutti”, il bene sta – come diceva Kant – nell’avere il coraggio di usare la propria intelligenza, dando un senso personale ai fatti per poi decidere cosa fare.
E Pietro Toffoli Marini ha riflettuto molto sul suo passato: l’ha ricostruito attraverso documenti, l’ha raccontato nelle scuole, l’ha elaborato con diversi gruppi, l’ha ripescato prendendo molti treni ed infine è riuscito, così mi sembra, a lenire almeno in parte il suo dolore come un tempo, quando era solo un bambino impaurito, seppe fare una grande splendida luna.
"Possibile? Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprí le mani nere in quella chiarità d’argento.
Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sí, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è data mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca.
Eccola, eccola, eccola là, la Luna…
C’era la Luna! La Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio
velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva piú paura, né si sentiva piú stanco, nella notte ora piena del suo stupore.
"
(Da “Ciaula scopre la luna”, Luigi Pirandello)
Danila
mar
31
mar
2015
Pietro e la Luna
All'Arci Bellezza l'altra sera, nella grande palestra sotterranea, abbiamo tutti ascoltato ammutoliti la testimonianza davvero insolita di Pietro sulla storia delle sue origini.
Pietro parlava e io sentivo l'importanza anzi, il grido, delle radici.
Siamo fatti di carne e memoria e tutti come lui siamo (qui provo a usare le sue parole): "Alla ricerca non di giustizia, ma quantomeno di verità". Ma cos'è la verità in rapporto alla giustizia, mi sono chiesta? Perché Pietro associa i due termini? E io, cosa ci ho sentito di familiare?
Il tono della voce di Pietro - che rimbombava flebile in quell'acustica difficoltosa - all'inizio mi suonava monocorde, inautentico. Era davvero l'acustica del luogo? Pietro pareva vergognarsi. Concepito e venuto alla luce in un lager da una madre coraggiosa e dura che per rifarsi una vita lo abbandona a una seconda madre ancora più rigida della prima. Di cosa poteva rimproverarsi, lui che non aveva fatto nulla, se non assistere attonito alla crudeltà di certe situazioni?
Parlava di condizioni nei campi di concentramento, soldati che umiliano prigionieri, uomo che distrugge uomo. Constatava. L'uomo in divisa che sputa in faccia a un altro uomo. E spallucce. Attonite, ma pur sempre solo una reazione ridotta al minimo. E la violenza che darebbe al titolo a questa serata dov'è - mi chiedevo. Nel soldato, si presume. Facile. Da manuale scolastico di storia. Il soldato cattivo, il lager cattivo, la banalità del male.
E perciò Pietro non s'infervorava, non si agitava, da lui non uscivano lamenti, né urla, né rivendicazioni. Un giorno è partito alla ricerca delle sue origini, ha ritrovato la madre che nel frattempo lavorava per dargli una condizione migliore, hanno avuto tra loro racconti, abbracci, frequenti silenzi di lei, fino alla sua morte. Pietro ha avuto la sua verità? Cosa mi trasmetteva il suo racconto, che riuscivo davvero a comprendere? Perché non potevo smettere di ascoltare? Senza essere nata in un lager, senza aver vissuto con la tragica certezza di un'incomprensione totale da parte del mondo, cosa posso sapere, io, della verità di Pietro, mi chiedevo?
Infine ho capito: c'era sì un'attesa di giustizia a guidare il suo percorso. Non però di una giustizia che cancella (o vendica, o punisce) le persecuzioni, i campi di concentramento, la sopraffazione, la cancellazione di individui e individui in nome di un interesse economico travestito di ideologia o religione. Come può, dopotutto, una persona sola farsi carico di questo?
Ciò che Pietro poteva fare e ha fatto, ricercando e raccontando le proprie radici, è inaugurare un linguaggio, una chiave di lettura del tutto personale - il più individuale possibile - sulla propria esperienza, facendone risultare al contempo un micro-teorema sull'amore e sulla relazione E proprio da un livello così singolare ecco nascere la parte comprensibile ai più, ovvero applicabile - perché no - in molte situazioni. Altro che lager da abbattere, altro che copulare per ottenere del sapone. Pietro ha ritrovato la luna, la luna dei suoi sette anni: la Madre, la manifestazione luminosa e calda di un Altrove, protagonista indiscussa di molta produzione poetica. Cose che ci vuole il giusto linguaggio per poter descrivere.
Ecco che parlando di sé bambino: gli inconvenienti igienici della colonia estiva, la luna, la folgorazione che salva dal dolore terreno, Pietro portava finalmente allo scoperto la sua verità. Quella ho capito e serberò sempre nella memoria: meglio non dire mai a una persona - tantomeno ad una figlia o figlio - che stiamo facendo qualcosa per il suo bene, se non ne siamo proprio sicuri.
Livia
ven
13
mar
2015
Il tema della Violenza
In una recente riunione del nostro blog è emersa l’importanza di trattare il tema della violenza in quanto essa è, purtroppo, un elemento ormai diffuso - con le più svariate declinazioni - nella nostra società, nelle famiglie e negli individui.
Si parla di violenza sulle donne, negli stadi, domestica..., le varianti sono tante, con l’aggravante che il fenomeno non risparmia nemmeno i più piccoli, preda di un bullismo che si trasforma spesso in violenza e sopraffazione.
Mi ha colpito in particolare un episodio di cronaca: l’uccisione di un giovane venticinquenne a Palermo per un futile diverbio in discoteca. Caduto a terra, è stato colpito da un calcio alla testa che gli è stato fatale. Si concludeva così, tragicamente, la vita di un giovane che aveva appena conquistato una brillante laurea in medicina; l’aggressore che si è costituito qualche giorno dopo aveva solo diciassette anni! Le cronache riportano la sua provenienza da una zona emarginata. Il fatto è particolarmente odioso in quanto il violento ha infierito su un avversario impossibilitato a difendersi. E lascia sorpresi la facilità con la quale si passa da un alterco verbale a vie di fatto dalle conseguenze imprevedibili.
Le risse nelle discoteche sono frequenti e le reazioni spropositate sono spesso in stretta connessione con lo stato di eccitazione di cui sono preda i giovani per assunzione di alcool (o peggio); lo stesso dicasi per le violenze negli stadi. C’è chi attribuisce lo scatenarsi della violenza a pulsioni derivate dalla partecipazione a videogiochi nei quali la lotta e la sopraffazione sono elementi dominanti ed il passaggio dalla finzione alla realtà avverrebbe senza la consapevolezza dell’agire. E’ una giustificazione di comodo, in quanto la soglia razionale verrebbe troppo facilmente superata. C’è piuttosto da osservare un senso diffuso di aggressività a tutti i livelli, verbale e comportamentale. Lo si riscontra facilmente nei dibattiti televisivi e persino nelle aule parlamentari, dove il confronto diviene talvolta fisico.
Taluni distinguono tra violenza e aggressività e c'e chi dà a quest’ultima un connotato positivo: atteggiamenti “sopra le righe” consentirebbero la preminenza in un confronto sociale e lavorativo sempre più difficile e competitivo. Certi genitori, poi, incoraggiano comportamenti di arroganza e di villania nei figli e, anzi, si fanno merito se il bimbetto tiranneggia gli amici e si comporta senza controllo in pubblico. Quante volte al ristorante abbiamo rimpianto di avere un tavolo vicino a quello di una famigliola con pargolo dilagante!
Ma il confine tra aggressività e violenza è labile e facile, in contesti predisponenti, che vengano oltrepassati i limiti con le conseguenze che sappiamo. C’è da aggiungere che le difficoltà hanno incattivito il clima sociale: la mancanza di lavoro e l’emarginazione sono detonatori pronti a scoppiare con un minimo pretesto.
I giornali riportano che al funerale del giovane palermitano il sacerdote nell’orazione funebre ha citato un passo del diario di una scrittrice ebrea olandese morta in campo di sterminio, Etty Hillesum, che alla violenza dei suoi persecutori opponeva l’accettazione e la mancanza di odio. Parole bellissime, che possono aver lenito il cuore straziato dei genitori, ma che non devono indurci ad un'inane accettazione di queste tragedie, frutto di una miseria morale e materiale che dobbiamo combattere.
Le armi che abbiamo sono quelle dell’equità sociale e in particolare della diffusione della cultura, termine abusato e criticato (ricordiamoci la sciocca affermazione “con la cultura non si mangia”), ma che deve essere riportato alla sua più vera accezione come patrimonio di regole e comportamenti sociali condivisi nei quali tutti devono riconoscersi.
Ettore
ven
19
dic
2014
Amianto svizzero e follia
Sono giorni cupi, tanto per cambiare.
Su di me e quelli della mia tribù, della piccola cerchia dei giacobini cui appartengo, pesa il parere di una corte di giustizia che rasenta la follia.
Non parlo di questioni mie, ma della questione amianto piemontese.
Dopo 43 anni i giudici dicono che il reato si è estinto per prescrizione.
Più di 1800 persone sono morte in tutti questi anni per il fatturato di un’azienda che produceva amianto in Piemonte.
Ora il dato di cronaca, pur sintetizzato malamente come ho fatto, è crudo… crudo e semplice come la follia.
Penso alle generazioni segnate da questa vicenda.
Più di tre generazioni: nonni, padri e figli che hanno avuto distrutta una famiglia, annullati gli affetti, dimenticati i propri morti.
Penso alla follia della prescrizione per reati incommensurabili come questo sterminio di massa.
Penso infine a un paese sterminato da un’unica bomba ambientale che è stata salvata e che lo ha prostrato davanti a tutto il mondo come ‘il paese dove possono accedere queste cose’ senza che i responsabili siano puniti.
Potremmo dire, forse, che è un segno dei tempi.
Ma di quali tempi? Di che tempi stiamo parlando?
Di tempi che non sono misurabili con la cultura di una generazione di depravati ma con più generazioni di figuri che ci fronteggiano spavaldi… ancora oggi certi di farla franca.
C’è un momento nel quale un fatto enorme, smisurato per il cuore di un popolo, cambia la storia di un Paese.
Come gli altri momenti decisivi per la Storia, quel momento è tale perché dimostra - per la gravità dell’atto che viene compiuto - che non c’è più prospettiva.
Che l’ultimo bimbo nato stasera, 20 novembre 2014, dovrà fronteggiare per molti anni ancora prima di un nuovo rinascimento questa ‘epoca di mezzo’ del nostro paese.
Un’epoca nella quale si pensa all’oggi con occhi bagnati perché non si riesce, non si ha più la forza né il coraggio civile di pensare al domani.
Quel Paese, in attesa di un nuovo rinascimento, è senza alcun dubbio un Paese morto.
Maurizio
sab
13
dic
2014
Il presepe di Cracovia
Parecchi anni fa, tanti ma non tantissimi, partecipavo all’organizzazione di una mostra benefica di presepi artistici e mi sono accorto, con questa esperienza, di quante persone si dedicano con passione a realizzare le più originali ed inconsuete rappresentazioni della Natività con gli stili ed i materiali più impensati. In alcuni casi il presepe è una struttura con marchingegni sofisticati per animare i personaggi, muovere le pale del mulino, far scorrere le acque del ruscello ed altri meccanismi.
I bambini rimangono incantati ed i genitori pagano volentieri il biglietto di ingresso alla mostra.
Il presepe in Italia ha una lunga tradizione e soprattutto a Napoli nei secoli scorsi le figure delle statuette raggiunsero una preziosità di vesti ed ornamenti che ancora lascia ammirati, anche perché era la ricostruzione di nobili e popolani che rendevano omaggio al Bambinello. Oggi queste figure sono oggetto di ricerca sul mercato dell’antiquariato.
Tutta questa variegata rassegna di presepi nella nostra raccolta era presente. Ci mancava però un pezzo particolare, che facesse da richiamo per l’esposizione. Tramite amici venni a sapere che una signora di origine polacca possedeva uno straordinario presepio, tipico dell’artigianato di Cracovia.
Sono costruzioni che sarebbe forse improprio definire “presepi”, in quanto si discostano totalmente dall'iconografia tradizionale, con i simboli classici della grotta, del bue, dell’asinello e della stella cometa. Ma il bello è proprio costituito dalla straordinaria inventiva degli artigiani di Cracovia: là si realizzano costruzioni di legno rivestite di carta stagnola dorata che riproducono, anche in grandi dimensioni, castelli o chiese locali.
Si tratta di oggetti veramente speciali per fantasia, abilità di realizzazione e variegata cromia. Il richiamo alla Natività è dato in genere dalle figure sacre poste nelle nicchie della costruzione.
I lavori di Cracovia si distinguono insomma dai nostri presepi caserecci e ci tenevo quindi ad esporlo come pezzo singolare e testimonianza di tradizioni diverse dalle nostre. Andai a trovare la signora nel suo studio di grafico dietro piazza Scala e fui ricevuto con molto calore, anche perché ero stato introdotto da un personaggio autorevole. Senza difficoltà riuscii ad ottenere in prestito il bellissimo oggetto che fu, ovviamente, un efficace motivo di richiamo alla mostra.
Questo episodio mi si era poi cancellato dalla mente, forse perché non mi sono più occupato di presepi se non di quello casalingo che allestisco in modo ridotto e simbolico, con due vecchie statuette napoletane che ogni anno alla Vigilia tolgo dallo scatolone ed espongo in salotto.
Recentemente ad un ricevimento sono stato presentato ad una signora dal difficile nome polacco la quale, con mia grande sorpresa, sosteneva di avermi conosciuto. Fu quando raccontò la mia visita al suo studio e tutto il seguito che, solo a quel punto, mi tornò un po' di memoria della vicenda, i cui contorni restano per me ancora nebulosi. Mi chiedo la spiegazione di questa mia rimozione e per riparare questo Natale metterò in bella mostra, accanto alle statuette napoletane, un volume illustrato sui presepi di Cracovia che avevo comprato all’epoca.
Spero che questo mi aiuti a recuperare per intero il ricordo della bella storia di un Natale di tanti anni addietro e insieme a questo lo spirito e la dolcezza di quelle lontane festività, vissute in una dimensione familiare che non ho più.
Ettore
mer
03
dic
2014
L’Originalità del Bene
L’emozionante racconto di Pietro Toffoli Marini dell’altra sera mi ha fatto venire in mente la famosa e controversa tesi di Hannah Arendt riguardo all’olocausto nazista, la cui sintesi sta nel concetto della Banalità del Male .
Secondo la scrittrice il male non è, come molti ritengono, qualcosa di mostruoso o demoniaco, termini che, seppure in negativo, rimandano a un che di scaltro, di potente e tutto sommato affascinante.
No, il male è qualcosa di molto più comune, normale, mediocre: il male è insomma banale.
Ciò non significa minimizzare i terribili atti commessi dal regime nazista (cosa di cui la Arendt fu accusata), ma comprendere ciò che spinge degli uomini ‘comuni’ a commettere quelle atrocità, trincerandosi dietro un semplice “ho solo eseguito gli ordini”.
La conclusione della scrittrice è che il male derivi dall’incapacità di pensare, di riflettere sulle proprie azioni che porta ad una cieca obbedienza alle regole. Solo in questo quadro infatti si può comprendere lo stupore di Eichmann, organizzatore dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento, che al processo di Norimberga non riusciva a comprendere le accuse nei confronti di chi, come lui, in fondo si era occupato “soltanto di trasporti”.
E così pure è possibile osservare quel ‘male’ raccontato e vissuto da Pietro nella sua infanzia, come la ‘terribile normalità’ di un male fatto di tanti piccoli gesti quotidiani: il non poter avere nel lager un po’ di acqua e sapone per lavarsi, il gerarca nazista che prima di scappare sputa addosso a sua madre con lui piccolo in braccio, il non essere ben accolto al rientro in patria in quanto ‘figlio della guerra’, i vari “lo faccio solo per il tuo bene” della madre adottiva, addirittura il furto della sua merendina da parte della suora che doveva accudirlo. Ma se questo è il male, la banalità del male, allora che cos’è il bene?
Ragionando per opposti, seguendo la Arendt, si potrebbe forse parlare dell’Originalità de Bene .
Se il male consiste nel non pensare e nell’agire meccanicamente poiché “così fan tutti”, il bene sta – come diceva Kant – nell’avere il coraggio di usare la propria intelligenza, dando un senso personale ai fatti per poi decidere cosa fare.
E Pietro Toffoli Marini ha riflettuto molto sul suo passato: l’ha ricostruito attraverso documenti, l’ha raccontato nelle scuole, l’ha elaborato con diversi gruppi, l’ha ripescato prendendo molti treni ed infine è riuscito, così mi sembra, a lenire almeno in parte il suo dolore come un tempo, quando era solo un bambino impaurito, seppe fare una grande splendida luna.
"Possibile? Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprí le mani nere in quella chiarità d’argento.
Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sí, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è data mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca.
Eccola, eccola, eccola là, la Luna…
C’era la Luna! La Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio
velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva piú paura, né si sentiva piú stanco, nella notte ora piena del suo stupore.
"
(Da “Ciaula scopre la luna”, Luigi Pirandello)
Danila
sab
29
nov
2014
Un mandala in salotto
La mia nonna materna si chiamava Berty e dai primi di ottobre scorso il suo corpo non è più in questo mondo.
Il suo nome vero - che non aveva la ipsilon - era lungo e altisonante: si chiamava Giustalberta dall'unione di Giusto e Alberto che erano i nomi di due uomini importanti della sua famiglia.
La nonna era un po' come il suo nome: seria, piemontese, legata ad antiche etichette; e un po' era come il soprannome che si era scelta: moderna, anglofila, civettuola.
Da bambina come tutti gli altri anch'io notavo le cose notevoli e la nonna aveva delle unghie notevoli: lunghe, rosse, laccate, dure, perfette. Io avevo escogitato una strategia, quella di farmi raccontare sempre la favola della lepre e della tartaruga. Non è inusuale che da piccoli ci si faccia raccontare la stessa storia più e più volte, così la nonna non sapeva che io avevo scelto quella per un motivo ben preciso: quando la lepre era già schizzata a tutta velocità verso il traguardo per poi perdersi cercando la scorciatoia e insomma stava facendo la sua figuraccia, la nonna continuando a raccontare mimava la tartaruga (la vincitrice, l'eroe gentile) che cammina e raggiunge il traguardo piano piano ma inesorabilmente. Le sue splendide unghiute mani diventavano le zampe della tartaruga e camminavano sopra il mio braccio, che io tenevo fermo immobile per sentire quelle unghie meravigliose appoggiarsi con grazia e decisione nella mia carne. Come un grattino, come una carezza, come un pungolo. Il prologo fisico di una relazione che passata la mia infanzia diventerà solo intellettuale, come si conviene ai salotti borghesi.
Quando ero un'adolescente ero talmente arrabbiata e impaurita dalla mia rabbia che in tutti i modi cercavo di contenerla sostituendole sciatteria e disinteresse. Ma prima o poi essa esplodeva in certe mie orribili sfuriate, specialmente in casa. Per il resto del tempo, avviluppata com'ero nella mia apatia, gli adulti cercavano di pungolarmi con osservazioni, consigli, imposizioni, sgridate. Il fastidio che provavo... io lo ricordo come se fosse adesso. Oggi però ne colgo l'elemento più irritante: la prevedibilità. "Guarda, le spuntano le tettine!", oppure "Quella maglietta t'ingrossa, ti sta da cani", e anche: "Voi giovani fate tanto i comunisti a parole, ma non sapete condividere un bel niente".
La nonna Berty invece quando mi pungolava lo faceva con eleganza, con dolcezza decisa buttava lì che quel tal colore mi faceva sembrare verdognola, oppure che avrei fatto meglio a scegliermi un uomo del mio stesso livello culturale e che dovevo rispettare mia madre anche se non la capivamo. Io non ero sempre d'accordo, ma la rispettavo perché era un'interlocutrice presente: sapeva sempre che stava parlando a me in particolare.
La nonna temeva più di tutto di diventare una noiosa vecchia che ripete sempre le stesse cose. Mi fece giurare da piccola che se mai fosse successo glielo avrei fatto notare. Ma poi ci è riuscita con le proprie forze: non è mai invecchiata nello spirito ed è solo diventata più saggia. Da giovane poteva anche essere feroce, a volte le sue uscite sibilavano fuori da un contenitore rimasto chiuso troppo a lungo. Oppure "le sparava grosse" (l'espressione è sua), dicendo cose che non pensava veramente o sulle quali un giorno avrebbe rivisto le sue posizioni. Aveva poi imparato a sapere sempre, anche quando partiva alla carica, di poter essere nel torto. E soprattutto, la nonna aveva per le persone un'attenzione da romanziere, con cui teneva il conto di tutti i successi, le delusioni, i matrimoni e i viaggi, le tragedie e le elaborazioni di esse. Le vicende e le persone protagoniste le interessavano primariamente per evolvere e migliorare sé stessa. Andando avanti con gli anni osservava e registrava con pudore (era timida, anche se ottimista) ma inesorabilmente. Carpiva i resoconti e gli sfoghi dalla sua postazione tra il tè e il divano e le bastava averli ascoltati una volta per ricordarsene per sempre, così da poterne dipingere un mandala ideale pieno di curve e colori da perfezionare, tenere a portata di mano e infine ridisciogliere nel flusso incessante degli eventi.
Livia
ven
12
set
2014
E' importante scrivere
Non a tutti lo scrivere è congeniale, ci ricordiamo ad esempio il disagio a scuola dopo la dettatura del tema, di fronte alla pagina bianca da riempire. Non era facile riordinare le idee, dare allo svolgimento un percorso coerente. E soprattutto ricordiamo l’incubo – dopo tanta fatica - di essere andati “fuori tema”, il che significava ricevere un’insufficienza.
Molti, poi, nella loro attività lavorativa hanno riempito pagine e pagine di relazioni, progetti, strategie, corrispondenza varia, tanto che la pagina scritta è venuta a noia.
C’è però un’altra dimensione dello scrivere: quella privata. Intendo riferirmi al diario quotidiano che riporta fatti ed emozioni, alle lettere indirizzate al pen friend come si diceva un tempo, oggi sostituite dalla più sbrigativa mail, a tutto quel materiale insomma rappresentato dall’elaborazione delle nostre fantasie (spesso anche incubi) in racconti, poesie, narrazioni autobiografiche, o anche in semplici appunti e noterelle. E’ un’attività importante, in quanto consente di scaricare e di esplicitare i nostri sentimenti con un'esteriorizzazione che, sedimentando i fatti ed i ricordi, ci permette di vedere i nostri punti critici con pacatezza e serenità, quasi dall’alto, con distacco. Il ricorso alla scrittura manuale è più frequente di quanto comunemente si pensi in tempi di notebook; ne è prova il successo dei taccuini “Moleskine”, molto élitari nella loro raffinata confezione grafica che vuole sottolineare l’esclusività dei pensieri raccolti. Preziosi appunti che ci portiamo appresso e che rileggiamo con reverenza.
Se poi si è più comodi con la scrittura elettronica e si riesce a fare il salto tecnologico, tanto meglio: con la videoscrittura il pensiero viene registrato in modo più immediato, pur perdendosi la bellezza del foglio manoscritto, con le sue correzioni e revisioni che aiutano a capire tutti i passaggi del nostro pensiero.
La scrittura è stata definita una “terapia” e certamente può rappresentare una cura ed un rimedio soprattutto per fatti traumatici, quali un lutto, la perdita del lavoro, una rottura sentimentale.
Non è certo un’attività di scavo psicologico - esso presupporrebbe il sostegno di un terapeuta-, ma resta pur sempre un fatto riparativo, che ci può essere di aiuto per il controllo delle nostre emozioni.
Non necessariamente, poi, la scrittura deve essere legata ad un fatto traumatico, ma può essere connessa all’esplicitazione di uno stato d’animo, di un umore, di una sensazione. Tante volte si è colpiti da un fatto che ci suscita interesse o commozione: un arcobaleno, una giornata di sole, il pianto od il riso di un bimbo. Proviamo allora a descrivere queste sensazioni in modo che rimanga traccia del momento trascorso. Le nostre parole non aspirano ad avere dignità letteraria (anche se non ne escludiamo la possibilità), in quanto la “poesia” è ben altra cosa, ma il nostro sfogo personale è pur sempre l’apertura ad un dialogo interiore che può tornarci utile. La scrittura deve essere l’alternativa allo schizzo dell’artista che ferma il ricordo e l’emotività dell’immagine ed ha ben altro spessore rispetto agli scatti fotografici, il più delle volte senza significato, con i quali riempiamo i nostri smartphones e rigiriamo nei social networks, immagini magari belle per gli occhi, ma non sempre appaganti per il cuore.
Ettore
mar
22
lug
2014
Malattia
"Lei è molto malata! Ha capito che molto malata? Perciò finisce ad alta protezione: colpevole di intuizione tutta complessa e sconvolta".
Mi sono ammalata nel 2005 per mobbing: chi dice che "La grande bellezza" racconta la realtà fino in fondo? Toni Servillo è un bravissimo attore, ma a Roma le feste sono all'ordine del giorno. Ero stanca delle raccomandazioni dei miei superiori, innamorata della Rai, abituata a Minoli che guardava al prodotto e ritrovarmi nella sevizia mentale... Nella sevizia mentale, infatti, mi sono ritrovata.
Chi mi faceva mobbing era nel PD, amico di Veltroni e Fassino.
Qualcuno ha detto che la sinistra è morta: da quando sono una barbona, non accettandolo, ho vagato per Milano perdendo scarpe, paltò, i golfini tarlati dentro a sacchi dell'immondizia. Ho esasperato un giudice scrivendogli in continuazione, perché non accetto le mie giornate rinchiusa a Quarto Oggiaro sempre in un lettino... E' da anni che vago per Milano con i sacchi dell'immondizia: Paolo Pini, Lighea, via Lopez, via Aldini, Bruzzano, gli alberghi dei lavoratori piuttosto che quelli della croce rossa. Per essere andata a Mediaset a chiedere pietà perché qualcuno facesse qualcosa? I carabinieri mi dissero: "Scrivi un libro, Anna, che altro ti possiamo dire, il nostro colonnello è stato trasferito... Prodi sarà meglio di Berlusconi?"
E poi anche il mio cane Pompei al canile... Milano da un lettino? E' inesistente. Inesistente. Ero pelle ed ossa: schizo-affettiva con disturbo bipolare, profonda regressione e ideazione paranoide. Ecco cosa significa un'indagine secretata: passi per mitomane.
Barbona, per lo Stato sono una barbona, una senza-fissa-dimora: "È colpa sua se si è ridotta cosi... è colpa tua". Io volevo solo che D'Alema, Berlusconi, Fassino, Bertinotti e Veltroni intervenissero, ma non rispondevano, e la sinistra è morta con lo scandalo Unipol. Il giornalismo, quello che spiega, è finito con quel momento. Adesso sono alla Terza Repubblica... se penso che Gentiloni, Scalfaro...
Qui dentro (nella casa ad alta protezione) cercano le cause del mio disagio psichico nella famiglia. Famiglia forte, la mia: io giravo per Roma in cerca di qualche politico; ci fu Dambruoso all'antiterrorismo, ci furono i flussi del dottor Miccicché e poi Unipol... Erano anni, che corteggiavo la Procura di Milano. La Pomodoro si è stupita che i giovani hacker abbiano oscurato il sito del tribunale. Ma che potere ha l'informatica! "E' inutile che lei scriva alla Procura: tanto resta tutto in una cartella che nessuno guarda...", era il parere dei dottori.
Inabile al lavoro: ma quando mai, che lavoravo di notte? Ma io voglio lavorare... a fare le pulizie ai carabinieri per 5 euro ad alzarmi alle 4 del mattino a superare San Pietro salutando la polizia. Roma: il Cupolone, Monte di Pietà.
Te li dicono i tuoi diritti? Va a quel paese al sistema mediatico: un giornalista de La 7 si è accorto su Facebook quest'anno che il sistema mediatico, adesso che ci sono il digitale e i satelliti, è tutto a favore del berlusconismo... Non si capisce subito, ad occhio nudo, ma come quando Fassino andava nelle trasmissioni della De Filippi e io andai a trovare lei e Costanzo sperando di poterci parlare, così ci è andato Renzi, è così che funziona.
Io ci stavo male per Andreotti, che almeno era un serio statista... Ma ditecelo piuttosto, che Berlusconi vi ha fatto comodo, non il fatto che Salvaggiulo pubblichi "Il peggiore " (2013) su D'Alema e Berlusconi... Si sa tutto, ma nessuno lo spiega alle masse, rimane per un ristretto gruppo di persone.
Inabile, inabile: inabile significa che stai nel letto che è peggio di un carcere, perché nemmeno la finestra ti puoi aprire da solo, nemmeno la lavatrice te la fai quando vuoi, nemmeno la doccia, si risparmia l'acqua. Infermieri che se gli dici Imposimato non sanno neanche chi è, che se dici Forleo è una paziente psichiatrica di Roma. QUANTO COSTA TUTTO QUESTO? 5000 euro al mese.
Come sto io? Che del giornalismo mi ricordo i cinque punti ma che non riconosco Milano? Golfini tarlati, sacchi dell'immondizia, una senza fissa dimora, me l'aveva detto il mio amico penalista: non si fermano. Eppure, i giudici avevano avvertito che ci sarebbe stata la crisi. Sto male, nel letto, sto male: basavo tutto sul lavoro, a vendere a 5 euro i mobili pur di mangiare, anche l'appello all'Avvenire (vedi nota precedente) inascoltato. Eppure in Rai Marrazzo nonostante lo scandalo lavora, io ne vedo 280 al mese, e anche bloccati... Scusa mi compri le sigarette? A rompere l'anima a Maurizio per pietire una frittata perché qui non si fa...
Non è vita. Devi tenere in ordine, devi essere trasparente e qualsiasi cosa tu dica è senza importanza. I DS la mia follia, eppure, stanno su Facebook a dirgliele. Si poteva evitare la Forleo a Cremona ascoltando il presidente della Cassazione... e chissà quante cose ancora... Ammettiamo pure che Berlusconi abbia capito la globalizzazione, che Pier Silvio faccia una politica d'espansione e smettiamola con la storiella del conflitto d'interessi.
Il cervello era in massa: niente tv, niente giornali, niente radio. Svendevo tutto ciò che avevo per 5 euro: lei è molto malata. Dio solo sa quanti curriculum sto mandando ma da un letto inabile, come faccio inabile... inabile, anni che sento la gente dire dei secessionisti, della telepatia, dei barboni. Barboni peraltro sempre aiutati e rivestiti alla Rai. E adesso, io. A dover domandare: "Posso?", a dover dire dove vado, come se avessi una madre possessiva. Vogliono il trauma infantile, ma non c'è nessun trauma infantile. Scalfaro su me non fece niente, gli Innamorati di Maria scrissero a Carlo Taormina per il mobbing, ma poi non processarono. Purtroppo Gherardo Colombo disse nel libro "Farla Franca" che è lui a sapere cos'è la politica, non io... A me mi s'incasinò il cervello. Io volevo solo lavorare in pace invece eccomi a svendere la biancheria dell'ottocento per 5 euro... A cinquantun anni, niente. Non ho niente... solo gli amici. Quando Comelli parla del potere... Ma basta, come dice Fulvio Abbate: vince il mercato, non i partiti.
Io però voglio giustizia.
Anna Lucchetta
lun
23
giu
2014
La condizione giovanile nel nostro Paese
L’IRPET della Regione Toscana ha pubblicato un'interessante ricerca sulla condizione giovanile nel nostro paese.
Noi di Borderblog, rimandandovi alla lettura del documento molto articolato, sconcertante per molti motivi, volevamo proporvi il nostro punto di vista.
Come spesso facciamo, presentiamo qui il lato “meno battuto” dall’informazione ufficiale.
Cerchiamo di entrare nell’anima dei giovani per capire cosa stanno provando.
Leggerete una serie di considerazioni in ordine sparso che speriamo possano produrre un po' di dialogo, magari proprio fra i giovani.
La diaspora
C’è una condizione interiore nuova nell’anima di molti nostri giovani.
Per la prima volta dopo tanti anni restare a studiare per loro significa sopravvivere.
Dalla finestra del loro PC i giovani vedono un mondo lavorativo disastrato, nel quale l’imprenditoria offre contratti a tempo determinato con periodicità di tre mesi, remunerazioni vergognose e zero prospettive.
Nasce quindi un’idea che prepara questo paese alla diaspora che si attuerà in modo massivo tra qualche anno: studio, studio molto e studio bene; finiti gli studi faccio un ultimo anno all’estero e lì rimango.
Il mio paese non mi offre nessuna prospettiva.
Immaginiamoci nella mente e nell’anima di un giovane di diciotto anni che pensi questa cosa: come vive la sua giornata, con quale animo si metterà a studiare?
Ma soprattutto - e questo a nostro modo di vedere è il vero tumore delle generazioni "verdi" - non mi lego troppo ai miei amici se non condividono anch'essi il mio programma di vita: ANDARE VIA!
Non familiarizzo, non m'innamoro, non proietto un futuro con la mia fidanzata, non mi occupo di politica, non partecipo in alcun modo all’attività culturale del mio tessuto sociale … tanto andrò via.
Provate a immaginare quanti traumi, uno in fila all’altro, aspettano questi giovani.
Poi voltatevi indietro e guardate i loro padri.
Come sono messi, economicamente?
Su chi possono contare queste nuove generazioni?
Downgrade
Ormai il CV, per come lo abbiamo utilizzato noi nel corso della nostra vita, non ha più senso.
ZERO.
E’ risaputo ormai che se hai un profilo troppo caratterizzato, ancor peggio se di alto livello, non puoi lavorare.Le aziende ti rimbalzano.
A loro non servi: meglio resettare il CV... così ci dicono molti che abbiamo contattato.
Fare downgrade, appunto.
Molto meglio essere degli apprendisti, in un mercato del lavoro che non è in grado di recepire la qualità dell’offerta.
Un mercato (lo abbiamo visto a Piazza Pulita di Formigli) che poi ti critica in quanto incapace e troppo caro virando su (come il caso di piazza pulita, appunto) ingegneri indiani che costano un decimo dei nostri... che magari avevano fior di master e non li hanno messi in CV per non essere rimbalzati.
La domanda che ci dobbiamo porre è: che futuro avrà il paese dell’eccellenza se i suoi giovani non possono mettere a sua disposizione le loro conoscenze?
E poi…
Quale futuro ha il downgrade forzato nel Paese della creatività?
Quale servizio di orientamento ha strutturato, uno Stato che fa ritrovare i suoi giovani in questa situazione?
Con quale preoccupazione ha lavorato sinora nel mercato del lavoro?
Tutte domande che lasciano sgomenti e producono un ultimo, gravissimo lutto nelle giovani generazioni: abbassare il profilo delle speranze.
Siamo destinati a un gravissimo impoverimento culturale dettato dal fatto che i nostri giovani non s'impegneranno al massimo per il loro futuro se non nell’ipotesi che esso si svolga all’estero.
Un paese di anziani
Viviamo in un paese che occupa le ultime posizioni in Europa per età media.
Stiamo invecchiando sempre più.
Le famiglie, del resto, fanno fatica a figliare…
Non se la sentono, se non possono sfruttare rendite di posizione o eredità di famiglia.
Risultato: invecchieremo sempre di più nel breve periodo, sembra infatti che anche gli immigrati stiano mollandoci per altre mete europee.
Il sistema Italia è profondamente gerontocratico.
Lavori se conosci un anziano che ti apre la strada.
E di anziani così ben disposti verso i giovani ce ne sono pochissimi.
Spariti ormai da tanto tempo i concetti di “scuola” e “laboratorio”.
Nel nostro paese non si impara un mestiere se non si “ruba” il know-how.
Carlo Cottarelli (economista, dirige Fondo Monetario Internazionale fino al 2013, soprannominato "Mister Forbici" per i tagli da lui imposti sotto il governo Letta, ndr) si è scottato, pare.
La sua proposta di rimodulazione delle pensioni sopra i 20 mila euro sembra stia saltando.
E ci chiediamo… chi sono i ricchi di questo Paese, se una ragazza di 25 anni guadagna il corrispettivo di una pensione minima (500 euro) per un impiego garantito per soli sei mesi, raramente per un periodo maggiore?
Gli anziani, ne converrete, anche con pensione minima stanno ad un livello superiore di chi deve mettere su famiglia ed è costretto a rinunciarvi in partenza, a meno di decidere di "scappare" letteralmente all’estero.
I sogni e bisogni
Una cosa tipica dei giovani d’oggi è la necessità di sentirsi approvati ed omologati dai coetanei.
Questo ha fatto aumentare il conformismotra i giovani.
Notiamo uno dei peggiori: il consumo di alcolici.
L’età in cui si inizia a bere è sempre più bassa.
Tra le migliori c’è invece la passione per la musica, modo di sfogarsi nonché cultura popolare.
I giovani inoltre sono, per la maggior parte, distaccati dalla politica e sfiduciati verso il governo.
Non vedono più, a differenza delle generazioni precedenti, il leader politico come una bandiera sotto la quale militare, eppure hanno bisogno di una visione in cui credere e confrontarsi.
Cosa ne pensiamo
Questa vergognosa condizione dei giovani rischia di portarsi via le possibilità di un futuro per questo Paese.
Ormai le mete estere sono le più ambite rispetto alla fine sconcertante che fanno le aspettative dei giovani.
Nel nostro paese ci sono persone che non ostante le lauree finiscono a fare mestieri umili e degradanti.
Secondo le stime i giovani lasciano la casa dei genitori sempre più tardi.
E più di un politico dice di lasciare spazio ai giovani.
Milo & Fabrizio
mer
18
giu
2014
Presentazione Libro di Stefano Medaglia "Tango irregolare"
Ciao a tutti,
bello forse parlare con le persone che ci presentano "altri lati del mondo".
Che sono in grado di raccontare storie che, di primo acchito, ci paiono distanti e che forse - proprio per questo - da un lato sono affascinanti, dall'altro ci arricchiscono di visuali sconosciute che possiamo richiamare a noi quando abbiamo bisogno o per il nostro piacere!
Parlare di "inabilità" non è una cosa nuova per noi del 'borderblog' ma può essere interessante parlarne con altre persone sensibili che ci possono presentare una diversa inabilità che, allo stesso modo e con la stessa forza forse, lotta con un pezzo di noi che spesso ha smesso di "sentire".
Per questo volevo proporvi una serata con Stefano Medaglia, un nostro amico, che viene a leggerci un capitolo del suo libro (tango irregolare, Folini Editore) e poi parliamo un poco tutti insieme.
Pensavamo di fare la serata del 3 luglio alle 21.00, al CIT, in via Panfilo Castaldi 33 (milano)
Per maggiori informazioni, seguiteci su Facebook
Vi Aspettiamo!
Maurizio
gio
12
giu
2014
Un se stesso accolto
Per parlare di Borderblog Psiche bisogna pensare a quanti brain storming e voli del pensiero veri e propri abbiamo fatto insieme.
La differenza tra giornalismo e psicoanalisi è la cura, sebbene, nei casi che ho seguito io era liberatorio parlare solo se aiutati veramente a tirar fuori quello che si ha dentro.
Di solito per parlare di sé ci vogliono due persone, nella seduta psicoanalitica come nell'intervista.
Nel nostro caso, è stata fondamentale l'esperienza trainante del dott. Comelli, uno psichiatra con una dote: è uomo del suo tempo.
Si rende conto del mondo circostante alla persona che soffre, non giudica con lo stigma.
Si tratta di totale assenza di giudizio negativo sulla debolezza dell'altro, si tratta di posizione paritaria, che riesce a stabilire un contatto profondo, perché non essendoci giudizio non ci sono ruoli.
Ci siamo portati su Internet con la convinzione che oramai, troppi anni di TV del dolore, troppi anni di speculazione, ci avevano tolto uno spazio per l'anima.
Ed ecco l'incontro.
Chico Buarque diceva che "la vita è l'arte degli incontri": abbiamo solo aperto uno spazio dove liberamente, serenamente e senza giudizio né ruolo, tu puoi raccontare un'esperienza, un istante, un dolore, puoi essere un "te stesso accolto".
Questo è Borderblog: l'accoglienza laica, l'accoglienza tra persone che sentono la vita.
La mia esperienza alla Rai e a Canale 5 era di sbranare in senso cinico; a Canale 5 più democratico, alla Rai nei programmi Mixer e Chi l'ha visto? Chi l'ha visto? mi ha insegnato le sovrastrutture degli assassini... mi ha insegnato a condividere l'angoscia e la paura della perdita delle persone care, mi ha insegnato la miopia delle forze dell'ordine e di come si è soli davanti al bisogno.
Anche questo è Borderblog: non essere soli. Vi ricordate Eugenio Finardi con Non voglio essere solo? Ecco, l'accoglienza e poi la conoscenza.
Si è formato un movimento di cervelli e di anime.
L'anima è molto ricercata perché fa ascolto una storia emozionante, ma emozionarsi semplicemente, senza essere usati, è una cosa nuova.
L'idea di giornalismo emotivo non è solo psicoterapia.
E' una condivisione del dolore e dei momenti difficili che ciascuno, in ogni proprio luogo, prova.
E' il dare voce a quelle persone che da sole faticano e lottano per essere. Sull'arte dell'esistere Rilke diceva: "ESISTERE IN TERRA E' DIVINO". Ecco, è questo il tentativo: dar voce a tutti quelli che provano ad esistere, che provano, piano piano, ad avere una storia.
Musil diceva: "TUTTE LE VIE DELLO SPIRITO PARTONO DALL'ANIMA, MA NESSUNA VI RITORNA".
Gli scrittori parlano del tormento, Borderblog è essere insieme davanti alla fragilità della vita, perché dobbiamo lavorare, avere responsabilità, abbiamo un'immagine e un ruolo sociale, però poi abbiamo una vita di relazioni, una famiglia, un mondo di sentimenti e di emozioni da gestire.
E tanto siamo piccoli, tanto siamo grandi.
Le esperienze raccolte sono spontanee, naturali, l'approccio era libero e sereno, quello di chi vuole esserci.
Questo è da sottolineare: esserci.
Essere persone che "ci sono", che si sentono al mondo.
Anche l'esperienza di creare questa pagina ci ha unito, le menti si raccoglievano in pareri, idee, trovate, soluzioni. E' un antidoto all'isolamento, un antidoto alla solitudine del dover lottare soli contro tutto.
Comelli ha un'idea di giornalismo emotivo che è un esercizio secondo me, di maieutica: tirar fuori da soli quello che si ha dentro.
Qui scrivono persone che non sempre vengono al gruppo, qui scrivono anche medici, tutti si rendono conto che questi tempi sono corrosivi per l'unità, la crisi, il litigare tutti in politica, un mondo in divenire, l'euro, l'Europa...
Borderblog è un esercizio in internet senza la frenesia del post tutti i giorni come Facebook.
Oltre a Facebook c'è anche il blog, infatti.
Borderblog unisce la voglia di comunicazione alla vera arte dell'unione, del sentirsi insieme semplicemente.
Anna
mar
03
giu
2014
Un Gabbiano cerca il nido
Caro diario,
“Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina, ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.”
V. Cardarelli –Gabbiani
Un capitolo della mia storia è questo…, e perdonatene la brevità.
Sono arrivata a Milano con una valigia piena di sogni, paure, forze e debolezze.
Tutto mi sembrava nuovo e più grande del presepe di casa e del piccolo paese, un labirinto dove si aggrovigliava una corsa a chi arrivava per primo.
La gente si affannava ed il tempo scorreva lento nella sua recondita “rapidità”.
I primi giorni guardavo affascinata la variegata tipologia di persone che viaggiavano da un capo all’altro della città, prese ognuna dal suo mondo parallelo.
Anche i tram, che percorrevano in lungo ed in largo le vie e le piazze, mi parevano dei demoni di cui dovevi comprendere la lingua.
Il primo giorno in Università fu come il primo tra i banchi di scuola da bambina; sguardi curiosi dei colleghi e tentativi di recitare la parte del “mi trovo qui e perfettamente a mio agio”….poi tutto sembrava routine, anche i sogni di gloria per il futuro.
Fin dall’inizio ho dovuto costruire un nuovo ordine di pensieri e di cose, niente di più complicato!
Ma gli sforzi parevano investiti per una giusta causa: il futuro…un futuro, che poi ho scoperto tristemente essere, anche qui, estremamente precario ed aleatorio e forse più alienante del mio piccolo mondo di origine dove la strada è noiosa ma tracciata, priva di stimoli ma sicura.
Impegnata a trovare il mio posto tra queste immense vie, a conquistare un ruolo sociale, una vita sociale ed un’indipendenza personale, mi accorsi che non avrei dovuto fare i conti solo col mondo ma soprattutto con me stessa; e me stessa è qui a gridare che se qualcuno ti aiuta a fare quei conti e ti sta accanto, quando quel tempo lento scorre, può diventare una storia semplice e felice.
Al di là dei luoghi comuni dell’angelo nero metropolitano, che può avvinghiarti in rapporti sociali, come anche scuoterti ed isolarti…ogni storia è un pianeta a sé.
La testa, lo stile ed il cuore di ognuno è un quadro diverso appeso alle pareti dell’Universo.
Sul mio appare come un abbraccio al sole ed una lacrima alla luna…tutto è più caldo e luminoso se senti la forza di una “stretta” ed è buio se nella notte ti ritrovi sola.
E sapete qual è la vera sfida per me?
Trovare qualcuno, che come me, ha bisogno di dolcezza, di amore, di fiducia, di amicizia e di abbracci per essere felice o quantomeno serena.
E sarà finita quando smetterò di credere che anche nelle caverne di una metropoli, puoi trovare un posto da cui partire per poi tornare ogni giorno, il porto sicuro che ti consola e ti accoglie….Io non smetterò mai di cercarlo anche qui.
Saluto tutti coloro che mi hanno letta con un’immagine che conservo speranzosa nel cuore: “in un mezzo affollato e grèmito di gente al mattino, una mamma pacatamente parla coi suoi figli, ripassando i compiti; li avrebbe accompagnati a scuola per poi tornare a prenderli…e loro, si’, sapevano di partire per poi tornare in un nido che ancora mi chiedo quanto dolce fosse.”
Trilly
dom
25
mag
2014
Depakin...
Eh già, mi trovavo ormai da cinque mesi all’SPDC del S. Paolo, ala Ovest del reparto di Psichiatria, al nono piano.
Eh già, non sapevano più dove mandarmi, visto che la casa l’avevo persa dopo un periodo di confusione assoluta e cure da parte dei CPS Milanesi, dopo una trentina di TSO e una trentina di psichiatri diversi (esperienza secondo me terrificante, da non augurare neanche a Berlusconi), dentro e fuori dai reparti psichiatrici…
Era circa il 1999 e dopo tutti questi TSO e la conseguente confusione, quando ero a casa, non avevo più soldi per pagare l’affitto ed ero rimasto letteralmente in strada con le valige in mano, mi dissero che non avevo niente e volevano dimettermi.
Allora io cosa ho fatto con la forza della disperazione?
Sono andato al Pronto Soccorso Psichiatrico del S. Paolo e mi sono fatto fare un TSV (Trattamento Sanitario Volontario), almeno avevo un posto caldo dove stare.
Dopo circa cinque mesi di reparto - in cui mi sembrava di essere un po’ come nel film “Terminal” con Tom Hanks (ve lo ricordate?) - la dottoressa non sapeva più che cosa fare.
Una mattina mi chiama per il solito “giro” dei medici e mi dice:
“Ma insomma, lei un giorno è su e un giorno è giù (cosa secondo me normalissima…), le prescrivo il DEPAKIN!”
E io allora le ho chiesto: “Dottoressa, cos’è il DEPAKIN?”
E lei: “E' uno stabilizzatore dell’umore”
E allora io, prontamente, ché la domanda sorge spontanea: “Mi perdoni dottoressa, vuol dire che se io la mattina mi sveglio incazzato, il DEPAKIN mi stabilizza l’incazzatura per tutto il giorno??”
Vi lascio immaginare la reazione della dottoressa “ferita nell’onore!”
Rob de matt!!!
Nel 2000 ero già in Comunità: finalmente si era liberato un posto al mitico Ceas.
Da notare che io ero in “cura” nei CPS meneghini dal 1989.
Era anche l’anno dell’avvento di Internet su scala mondiale…ormai tutti dovevano avere un indirizzo e-mail, sennò eri “tagliato fuori”… Allora volevo anch’io il mio indirizzo e-mail per essere nel mondo.
Avevo alcune idee/opzioni, una era: merliny2001@libero.it. Allora chiesi un consiglio ad una mia amica storica, Marta, che conosceva bene le vicissitudini del mio percorso dentro e fuori dagli ospedali psichiatrici.
Cominciò a sbellicarsi dal ridere e mi disse:"Ma cosa vuoi fare?? “Merliny 2001, Odissea negli OSPIZI”???
Ahahahaha!
Ok my friends, alla prossima.
Belfagor
mer
07
mag
2014
LA STORIA DI ELENA
La storia di Elena è molto triste, ce l’ha raccontata sotto i portici della stazione, dove chiede l’elemosina insieme al suo cane.
Lei è rimasta orfana dai dodici anni, e da allora fino alla maggiore età in comunità grazie alla sua assistente sociale.
Da allora è una vera propria vagabonda e si è vista portare via la tenda in cui dormiva dalla polizia perche l’aveva montata in un parchetto. Non vuole andare a vivere negl’appartamenti protetti forniti dalle onlus perché dovrebbe abbandonare il suo cane.
Questo è solo uno dei racconti che ci possono fare gli innumerevoli disagiati economici, sociali ed altri che innumerevoli popolano milano.
Fsbrizio Orlandi 20 febraio 2014
Elena, è beige il suo colore: il cane enorme, più coperto di lei.
Lei seduta, lui sdraiato pieno di coperte. L'amore materno di chi non ha più madre da troppo tempo.
No, il suo coraggio non ce l'ho.
Dormire in strada, essendo giovane e bella, educata, preparata: questi sono i servizi sociali a Milano?
Ha cultura, e'educata, si vede che non usa droghe. Racimolare venti centesimi per comprare il pranzo al cane: penso mangi più lui enorme e buono, innamorato della padrona, che lei.
Le ho promesso che, se mi danno la casa, viene da me. Non sopporto le ingiustizie: cosa ha fatto di male? Ha perso i genitori a 12 anni, nessuno che ha pensato un giudice tutelare a comperarle una casa per i suoi 18 anni, come me, il patrimonio disperso con strutture.... me ne sono innamorata perché sa ridere nonostante tutto, perché è linda e dolce col freddo che c'è, perché le coperte le usa per il cane e non per se stessa.
Non c'e' niente da fare: se non hai ricevuto amore, sei pronto a darne in quantità smisurata.
Cosa vorrei? Che la Maiorino, una casa per indigenti ce la desse a tutte e due, bandi che escono in continuazione e nessuna attribuzione. Così, elemosina e notti all'addiaccio, una vita giovane che potrebbe essere serena, una ragazza con degli interessi, si vede, una ragazza signora, perché Totò non ha mai sbagliato a dire che Signori si nasce e la sua
compostezza, la sua semplicità nel raccontare la solitudine varrebbe la pena chiedere al sindaco di pensarci sugli alloggi.
lo vivo, io senza cane con un trucco te lo portano via, questo fanno i servizi sociali, perdi anche la piacevolezza quando la psichiatria, invece, parla di pet teraphy.
Vale un canto di guerra averla incontrata: bisogna aiutarla a lavorare e pagarsi una stanza.
E stare con il cane senza coperte: questo vorrei.
Come aiutarla?
Trovandole un lavoro part time per farla stare con il cane il più possibile, anche solo un monolocale dove essere femmina libera, senza case famiglia, senza assistenti sociali, senza elemosina.
Credo sia un'infamia far stare una brava ragazza in strada. Credo che sia un'infamia il dormire nella metropolitana per il cane: sono le regoline dell'ufficio d'igiene quando gli animali, se la persona è pulita, sono puliti.
Ma sbagliato a dire che Signori si nasce e la sua
compostezza, la sua semplicità nel raccontare la solitudine varrebbe la pena chiedere al sindaco di pensarci sugli alloggi.
lo vivo, io senza cane con un trucco te lo portano via, questo fanno i servizi sociali, perdi anche la piacevolezza quando la psichiatria, invece, parla di pet teraphy.
Vale un canto di guerra averla incontrata: bisogna aiutarla a lavorare e pagarsi una stanza.
E stare con il cane senza coperte: questo vorrei.
Come aiutarla?
Trovandole un lavoro part time per farla stare con il cane il più possibile, anche solo un monolocale dove essere femmina libera, senza case famiglia, senza assistenti sociali, senza elemosina.
Credo sia un'infamia far stare una brava ragazza in strada. Credo che sia un'infamia il dormire nella metropolitana per il cane: sono le regoline dell'ufficio d'igiene quando gli animali, se la persona è pulita, sono puliti.
Anna Lucchetta 23 febbraio 2013
mer
07
mag
2014
MONTAGNE
Leggo il pezzo del Corriere e rifletto sui tempi del dolore.
Parliamo spesso di quanto il tempo curi le ferite dell’anima, eppure a volte il tempo non arriva a curare.
Questo dato mi ha lasciato sgomento leggendo le righe del Corriere.
Passano gli anni, Paola è testimone della morte della madre, del padre e del fratellino sullo sciagurato volo che doveva portare da Linate i suoi parenti a trovarla in Olanda.
Dopo anni suo fratello si uccide.
Poi, sulla scia di dolore lasciata dal fratello forse, una donna che, a detta di tutti i suoi amici, era una persona forte, decisa, brillante decide di farla finita.
Nella famiglia resta un solo superstite ora.
Non mi capacito, è come se morte chiedesse morte, come se il dolore avesse la forza di rigenerarsi.
Vorrei sapere di più, conoscere Paola, i suoi amici, il suo compagno e, forse, da lì capire la radice del suo dolore.
Comprendere quanto fosse andata in profondità, cosa non le permettesse di lasciare andare il dolore.
Sentire le persone che accompagnavano la sua vita, intendere come non sia stato possibile strapparle di dosso la sua solitudine.Come spesso accade di fianco a un dolore restano le domande, una montagna di dolore che si scala con una montagna di parole.
Uniche, forse, in grado di vincerlo, conquistarlo come si fa con una vetta.
Maurizio
mer
07
mag
2014
LA POVERA CAREZZA DI ANNA
mer
07
mag
2014
SOTTOSOPRA: UN BLOG PER ROMPERE L’ISOLAMENTO
Anna Luchetta 10 LUGLIO 2013
mer
07
mag
2014
LETTERA APERTA A ROSSELLA
Anna Luchetta 10 LUGLIO 2013
mer
23
apr
2014
Chi siamo
Brain storming: esatto!
Un viaggio di menti che si ritrovano: Livia, Maurizio, Fabrizio, Ettore, Danila, Camilla, Anna, Elena, e tutti gli altri.
Sono tanti, ogni volta, s'aggiunge qualcuno.
Cosa facciamo?
Camilla e' una free lance che cerca l'armonia cosmica con i suoi Tarocchi, i suoi fiori di Bach, l'armonia.
Livia? Livia cerca il senso dell'infinito. Ce l'ha dentro, lo esprime quando canta, è eterna come anima, un'anima che è lieve, delicata e sa parlare di sé con dolcezza, nessuno di noi fa pesare all'altro la sofferenza.
Poi c'è Maurizio, un creativo forte, ma mansueto. Lui è determinato, resiste, lotta, ma umilmente, lo si capisce chi è veramente, quando lo si vede a contatto con la figlia: un'immensa carica d'amore da dare, pronto a dare,
Quindi c'e' Ettore che è papà di una venticinquenne. Lui è morigerato, tranquillo, con la voglia di fare.
Fabrizio e' la nostra mascotte internauta: strepitoso, giovane pieno di forza, pieno di vita. Parla poco, ma ti fa capire che s'affeziona
Poi c'e' lo Psi Franz, il connettivo, proprio un uomo tessuto fatto per ricostruire l'equilibrio delle membra di un'anima. Lui e' lì, che sente il mondo per quello che è, e lo vede nei suoi pazienti, non arrendendosi all'evidenza del mondo
Come l’uomo della pubblicità dello Cynar, che non ha tempo.
Elena è l'avvocatessa. Non fa pesare la sua cultura, si mette a sentire, ad ascoltare, poi ci sono i nuovi arrivati.
Che gruppo è? E' un gruppo dove ciascuno mostra quello che è, senza maschere, senza sovrastrutture di nessun genere, si mette a disposizione dell'altro.
Abbiamo il blog dove scrivono persone nuove, che si sono aggiunte, la solitudine, la fatica di vivere, il superare il border che, ogni tanto, capita nella vita di ciascuno.
Poi ci sono io, Anna, che vivo l'esperienza manicomiale vera e propria, chiusa in un ospedale psichiatrico e che non mi rassegno alle 5000 euro al mese dell'asl quando potrei benissimo con500 avere uno spazio mio e cucinarmi io cose buone.
Perché frequentarci?
Perché non poniamo limiti. Cerchiamo di scrivere la vita per come ci viene, per come ci capita, accogliendoci uno con l'altro.
E’ nato affetto sincero, un legame, la confidenza e complicità, perché siamo un gruppo che accoglie ed e' per chi esiste e basta.
Il mestiere di vivere con la crisi economica, con il berlusconismo culturale, con l'euro, con tutto il mondo che cambia con un click con una tecnologia sempre più veloce.