Pietro e la Luna

All'Arci Bellezza l'altra sera, nella grande palestra sotterranea, abbiamo tutti ascoltato ammutoliti la testimonianza davvero insolita di Pietro sulla storia delle sue origini.

Pietro parlava e io sentivo l'importanza anzi, il grido, delle radici.

 

Siamo fatti di carne e memoria e tutti come lui siamo (qui provo a usare le sue parole): "Alla ricerca non di giustizia, ma quantomeno di verità". Ma cos'è la verità in rapporto alla giustizia, mi sono chiesta? Perché Pietro associa i due termini? E io, cosa ci ho sentito di familiare?

 

Il tono della voce di Pietro - che rimbombava flebile in quell'acustica difficoltosa - all'inizio mi suonava monocorde, inautentico. Era davvero l'acustica del luogo? Pietro pareva vergognarsi. Concepito e venuto alla luce in un lager da una madre coraggiosa e dura che per rifarsi una vita lo abbandona a una seconda madre ancora più rigida della prima. Di cosa poteva rimproverarsi, lui che non aveva fatto nulla, se non assistere attonito alla crudeltà di certe situazioni?

 

Parlava di condizioni nei campi di concentramento, soldati che umiliano prigionieri, uomo che distrugge uomo. Constatava. L'uomo in divisa che sputa in faccia a un altro uomo. E spallucce. Attonite, ma pur sempre solo una reazione ridotta al minimo. E la violenza che darebbe al titolo a questa serata dov'è - mi chiedevo. Nel soldato, si presume. Facile. Da manuale scolastico di storia. Il soldato cattivo, il lager cattivo, la banalità del male.

 

E perciò Pietro non s'infervorava, non si agitava, da lui non uscivano lamenti, né urla, né rivendicazioni. Un giorno è partito alla ricerca delle sue origini, ha ritrovato la madre che nel frattempo lavorava per dargli una condizione migliore, hanno avuto tra loro racconti, abbracci, frequenti silenzi di lei, fino alla sua morte. Pietro ha avuto la sua verità? Cosa mi trasmetteva il suo racconto, che riuscivo davvero a comprendere? Perché non potevo smettere di ascoltare? Senza essere nata in un lager, senza aver vissuto con la tragica certezza di un'incomprensione totale da parte del mondo, cosa posso sapere, io, della verità di Pietro, mi chiedevo?

 

Infine ho capito: c'era sì un'attesa di giustizia a guidare il suo percorso. Non però di una giustizia che cancella (o vendica, o punisce) le persecuzioni, i campi di concentramento, la sopraffazione, la cancellazione di individui e individui in nome di un interesse economico travestito di ideologia o religione. Come può, dopotutto, una persona sola farsi carico di questo?

 

Ciò che Pietro poteva fare e ha fatto, ricercando e raccontando le proprie radici, è inaugurare un linguaggio, una chiave di lettura del tutto personale - il più individuale possibile - sulla propria esperienza, facendone risultare al contempo un micro-teorema sull'amore e sulla relazione E proprio da un livello così singolare ecco nascere la parte comprensibile ai più, ovvero applicabile - perché no - in molte situazioni. Altro che lager da abbattere, altro che copulare per ottenere del sapone. Pietro ha ritrovato la luna, la luna dei suoi sette anni: la Madre, la manifestazione luminosa e calda di un Altrove, protagonista indiscussa di molta produzione poetica. Cose che ci vuole il giusto linguaggio per poter descrivere.

 

Ecco che parlando di sé bambino: gli inconvenienti igienici della colonia estiva, la luna, la folgorazione che salva dal dolore terreno, Pietro portava finalmente allo scoperto la sua verità. Quella ho capito e serberò sempre nella memoria: meglio non dire mai a una persona - tantomeno ad una figlia o figlio - che stiamo facendo qualcosa per il suo bene, se non ne siamo proprio sicuri.


Livia 

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Commenti: 1
  • #1

    Sandro (venerdì, 04 marzo 2016 16:15)

    bello come post, ricorda un pò quel racconto di Pirandello "Ciaula scopre la luna", in cui il protagonista lavora in una zolfatara; poi un giorno uscendo all'aperto scopre la luna. io non c'ero quella sera, ma deve essere stato interessante!