La cittadina di Alatri, oggi alle cronache per la brutale uccisione di un giovane, si trova in Ciociaria al confine tra il Lazio e l'Abruzzo e, in rapporto alla piccola dimensione (circa trentamila abitanti) dispone di ben cinque biblioteche, di numerose associazioni culturali, di una valida struttura sanitaria e di un patrimonio artistico costituito da chiese e da vari palazzi patrizi, il tutto a prova di un tessuto di storia e di una struttura sociale ben organizzata.
Non siamo, quindi, in un centro dell'estremo sud ove i punti di aggregazioni sono solo i bar e la piazza del paese con i cartelli stradali crivellati dai colpi di lupara. Eppure la brutale uccisione di cui è stato vittima un giovane sembrerebbe appartenere ad un contesto di degrado che ad Alatri non è presente e che non può essere portata a giustificazione sociologica dei prodromi del fatto.
La furia, l'accanimento e la barbarie con la quale il gruppo ha infierito sono istinti che vanno, invece, ricercati in capo ai ragazzi del branco; lascia sgomenti l'insensibilità di fronte all'incrudelirsi su un coetaneo privo di difese contro gli aggressori. Non è il primo episodio del genere: la cronaca ci propone frequentemente fatti similari o addirittura, se possibile, più efferati, sempre a danno di persone più deboli - sempre più spesso le vittime sono donne, fidanzate o mogli, nei confronti delle quali si scatena una furia omicida che lascia increduli per la futilità se non per l'assenza di motivazioni, ma sopratutto per le modalità crudeli di esecuzione.
Ai funerali delle vittime i discorsi dall'altare sono sempre di misericordia e di perdono con la raccomandazione di evitare la vendetta che non farebbe che aggravare il fatto. Non ci si chiede, invece, da dove nasca tanto spregio rispetto alla sofferenza delle vittime che non può essere spiegato come la conseguenza di un raptus o di uno scatto momentaneo, visti i comportamenti reiterati e l'insistenza nell'incrudelire sulla vittima.
La società del benessere (così orgogliosamente definiamo questi anni, dimenticandoci delle gravi sacche di povertà estrema presenti nel nostro Paese) ha evidentemente anestetizzato in una parte della popolazione i sentimenti di tolleranza e di rispetto che devono essere alla base della convivenza civile, dando priorità ai miti del successo, dell'arricchimento, della furbizia, del possesso consumistico. Con la conseguenza di creare rabbia e frustrazione in chi non riesce a raggiungere questi traguardi e si sente, quindi, escluso dal contesto. La miopia dell'attuale situazione sociale è che si persegue l'obiettivo individuale e non un traguardo collettivo, cioè il miglioramento generale; manca una visione, un ideale di progresso generale. La rabbia repressa attende solo un pretesto per scatenarsi e dimostrare tutta la sua distruttività contro il malcapitato che si trova ad attraversare la nostra strada lavorativa, sentimentale o anche solo occasionale.
Gli episodi di efferata violenza sono, fortunatamente, numerosi ma non generalizzati e vanno combattuti con l'esempio e l'educazione fin dal manifestarsi degli episodi giovanili di bullismo che sono un'anticipazione del successivo incistarsi dell'atteggiamento di indifferenza e di cattiveria nei confronti del prossimo.
Ettore
foto da internet: stateofmind.it
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Sandro (venerdì, 07 aprile 2017 11:09)
complimenti Ettore! avrei voluto scrivere anch'io un articolo sul dilagare della violenza, ma non mi è venuto. ciao