In una recente riunione del nostro blog è emersa l’importanza di trattare il tema della violenza in quanto essa è, purtroppo, un elemento ormai diffuso - con le più svariate declinazioni - nella nostra società, nelle famiglie e negli individui.
Si parla di violenza sulle donne, negli stadi, domestica..., le varianti sono tante, con l’aggravante che il fenomeno non risparmia nemmeno i più piccoli, preda di un bullismo che si trasforma spesso in violenza e sopraffazione.
Mi ha colpito in particolare un episodio di cronaca: l’uccisione di un giovane venticinquenne a Palermo per un futile diverbio in discoteca. Caduto a terra, è stato colpito da un calcio alla testa che gli è stato fatale. Si concludeva così, tragicamente, la vita di un giovane che aveva appena conquistato una brillante laurea in medicina; l’aggressore che si è costituito qualche giorno dopo aveva solo diciassette anni! Le cronache riportano la sua provenienza da una zona emarginata. Il fatto è particolarmente odioso in quanto il violento ha infierito su un avversario impossibilitato a difendersi. E lascia sorpresi la facilità con la quale si passa da un alterco verbale a vie di fatto dalle conseguenze imprevedibili.
Le risse nelle discoteche sono frequenti e le reazioni spropositate sono spesso in stretta connessione con lo stato di eccitazione di cui sono preda i giovani per assunzione di alcool (o peggio); lo stesso dicasi per le violenze negli stadi. C’è chi attribuisce lo scatenarsi della violenza a pulsioni derivate dalla partecipazione a videogiochi nei quali la lotta e la sopraffazione sono elementi dominanti ed il passaggio dalla finzione alla realtà avverrebbe senza la consapevolezza dell’agire. E’ una giustificazione di comodo, in quanto la soglia razionale verrebbe troppo facilmente superata. C’è piuttosto da osservare un senso diffuso di aggressività a tutti i livelli, verbale e comportamentale. Lo si riscontra facilmente nei dibattiti televisivi e persino nelle aule parlamentari, dove il confronto diviene talvolta fisico.
Taluni distinguono tra violenza e aggressività e c'e chi dà a quest’ultima un connotato positivo: atteggiamenti “sopra le righe” consentirebbero la preminenza in un confronto sociale e lavorativo sempre più difficile e competitivo. Certi genitori, poi, incoraggiano comportamenti di arroganza e di villania nei figli e, anzi, si fanno merito se il bimbetto tiranneggia gli amici e si comporta senza controllo in pubblico. Quante volte al ristorante abbiamo rimpianto di avere un tavolo vicino a quello di una famigliola con pargolo dilagante!
Ma il confine tra aggressività e violenza è labile e facile, in contesti predisponenti, che vengano oltrepassati i limiti con le conseguenze che sappiamo. C’è da aggiungere che le difficoltà hanno incattivito il clima sociale: la mancanza di lavoro e l’emarginazione sono detonatori pronti a scoppiare con un minimo pretesto.
I giornali riportano che al funerale del giovane palermitano il sacerdote nell’orazione funebre ha citato un passo del diario di una scrittrice ebrea olandese morta in campo di sterminio, Etty Hillesum, che alla violenza dei suoi persecutori opponeva l’accettazione e la mancanza di odio. Parole bellissime, che possono aver lenito il cuore straziato dei genitori, ma che non devono indurci ad un'inane accettazione di queste tragedie, frutto di una miseria morale e materiale che dobbiamo combattere.
Le armi che abbiamo sono quelle dell’equità sociale e in particolare della diffusione della cultura, termine abusato e criticato (ricordiamoci la sciocca affermazione “con la cultura non si mangia”), ma che deve essere riportato alla sua più vera accezione come patrimonio di regole e comportamenti sociali condivisi nei quali tutti devono riconoscersi.
Ettore
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Roberto (martedì, 17 marzo 2015 09:06)
Caro Ettore ti ringrazio per il bellissimo articolo e ti ringrazio in particolare per avermi fatto conoscere la figura di Etty Hillesum. Ho ricevuto due grandi doni da te, ancora grazie. Roberto