L’IRPET della Regione Toscana ha pubblicato un'interessante ricerca sulla condizione giovanile nel nostro paese.
Noi di Borderblog, rimandandovi alla lettura del documento molto articolato, sconcertante per molti motivi, volevamo proporvi il nostro punto di vista.
Come spesso facciamo, presentiamo qui il lato “meno battuto” dall’informazione ufficiale.
Cerchiamo di entrare nell’anima dei giovani per capire cosa stanno provando.
Leggerete una serie di considerazioni in ordine sparso che speriamo possano produrre un po' di dialogo, magari proprio fra i giovani.
La diaspora
C’è una condizione interiore nuova nell’anima di molti nostri giovani.
Per la prima volta dopo tanti anni restare a studiare per loro significa sopravvivere.
Dalla finestra del loro PC i giovani vedono un mondo lavorativo disastrato, nel quale l’imprenditoria offre contratti a tempo determinato con periodicità di tre mesi, remunerazioni vergognose e zero prospettive.
Nasce quindi un’idea che prepara questo paese alla diaspora che si attuerà in modo massivo tra qualche anno: studio, studio molto e studio bene; finiti gli studi faccio un ultimo anno all’estero e lì rimango.
Il mio paese non mi offre nessuna prospettiva.
Immaginiamoci nella mente e nell’anima di un giovane di diciotto anni che pensi questa cosa: come vive la sua giornata, con quale animo si metterà a studiare?
Ma soprattutto - e questo a nostro modo di vedere è il vero tumore delle generazioni "verdi" - non mi lego troppo ai miei amici se non condividono anch'essi il mio programma di vita: ANDARE VIA!
Non familiarizzo, non m'innamoro, non proietto un futuro con la mia fidanzata, non mi occupo di politica, non partecipo in alcun modo all’attività culturale del mio tessuto sociale … tanto andrò via.
Provate a immaginare quanti traumi, uno in fila all’altro, aspettano questi giovani.
Poi voltatevi indietro e guardate i loro padri.
Come sono messi, economicamente?
Su chi possono contare queste nuove generazioni?
Downgrade
Ormai il CV, per come lo abbiamo utilizzato noi nel corso della nostra vita, non ha più senso.
ZERO.
E’ risaputo ormai che se hai un profilo troppo caratterizzato, ancor peggio se di alto livello, non puoi lavorare.Le aziende ti rimbalzano.
A loro non servi: meglio resettare il CV... così ci dicono molti che abbiamo contattato.
Fare downgrade, appunto.
Molto meglio essere degli apprendisti, in un mercato del lavoro che non è in grado di recepire la qualità dell’offerta.
Un mercato (lo abbiamo visto a Piazza Pulita di Formigli) che poi ti critica in quanto incapace e troppo caro virando su (come il caso di piazza pulita, appunto) ingegneri indiani che costano un decimo dei nostri... che magari avevano fior di master e non li hanno messi in CV per non essere rimbalzati.
La domanda che ci dobbiamo porre è: che futuro avrà il paese dell’eccellenza se i suoi giovani non possono mettere a sua disposizione le loro conoscenze?
E poi…
Quale futuro ha il downgrade forzato nel Paese della creatività?
Quale servizio di orientamento ha strutturato, uno Stato che fa ritrovare i suoi giovani in questa situazione?
Con quale preoccupazione ha lavorato sinora nel mercato del lavoro?
Tutte domande che lasciano sgomenti e producono un ultimo, gravissimo lutto nelle giovani generazioni: abbassare il profilo delle speranze.
Siamo destinati a un gravissimo impoverimento culturale dettato dal fatto che i nostri giovani non s'impegneranno al massimo per il loro futuro se non nell’ipotesi che esso si svolga all’estero.
Un paese di anziani
Viviamo in un paese che occupa le ultime posizioni in Europa per età media.
Stiamo invecchiando sempre più.
Le famiglie, del resto, fanno fatica a figliare…
Non se la sentono, se non possono sfruttare rendite di posizione o eredità di famiglia.
Risultato: invecchieremo sempre di più nel breve periodo, sembra infatti che anche gli immigrati stiano mollandoci per altre mete europee.
Il sistema Italia è profondamente gerontocratico.
Lavori se conosci un anziano che ti apre la strada.
E di anziani così ben disposti verso i giovani ce ne sono pochissimi.
Spariti ormai da tanto tempo i concetti di “scuola” e “laboratorio”.
Nel nostro paese non si impara un mestiere se non si “ruba” il know-how.
Carlo Cottarelli (economista, dirige Fondo Monetario Internazionale fino al 2013, soprannominato "Mister Forbici" per i tagli da lui imposti sotto il governo Letta, ndr) si è scottato, pare.
La sua proposta di rimodulazione delle pensioni sopra i 20 mila euro sembra stia saltando.
E ci chiediamo… chi sono i ricchi di questo Paese, se una ragazza di 25 anni guadagna il corrispettivo di una pensione minima (500 euro) per un impiego garantito per soli sei mesi, raramente per un periodo maggiore?
Gli anziani, ne converrete, anche con pensione minima stanno ad un livello superiore di chi deve mettere su famiglia ed è costretto a rinunciarvi in partenza, a meno di decidere di "scappare" letteralmente all’estero.
I sogni e bisogni
Una cosa tipica dei giovani d’oggi è la necessità di sentirsi approvati ed omologati dai coetanei.
Questo ha fatto aumentare il conformismotra i giovani.
Notiamo uno dei peggiori: il consumo di alcolici.
L’età in cui si inizia a bere è sempre più bassa.
Tra le migliori c’è invece la passione per la musica, modo di sfogarsi nonché cultura popolare.
I giovani inoltre sono, per la maggior parte, distaccati dalla politica e sfiduciati verso il governo.
Non vedono più, a differenza delle generazioni precedenti, il leader politico come una bandiera sotto la quale militare, eppure hanno bisogno di una visione in cui credere e confrontarsi.
Cosa ne pensiamo
Questa vergognosa condizione dei giovani rischia di portarsi via le possibilità di un futuro per questo Paese.
Ormai le mete estere sono le più ambite rispetto alla fine sconcertante che fanno le aspettative dei giovani.
Nel nostro paese ci sono persone che non ostante le lauree finiscono a fare mestieri umili e degradanti.
Secondo le stime i giovani lasciano la casa dei genitori sempre più tardi.
E più di un politico dice di lasciare spazio ai giovani.
Milo & Fabrizio
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Caterina (venerdì, 04 luglio 2014 09:46)
Non sono una "giovane", novembre quest'anno mi regalerà il mio primo "anta", ma probabilmente faccio parte della generazione più in crisi in questo momento. Se i giovani stanno vivendo ormai da qualche anno la crisi e, disincantati, stanno organizzandosi per andarsene, noi siamo quelli cresciuti nell'epoca dell'ottimismo e nel mito del lavoro, con l'incrollabile certezza che lo studio e l'impegno pagano sempre. Ci avevano promesso tutto: il lavoro, il successo, il guadagno, il benessere, la famiglia (se la volevi), il divertimento... la felicità. A metà degli anni '90, quando sudavo sui libri di analisi e scienza delle costruzioni, l'idea che un laureato finisse a fare stage gratuiti a vita o l'impiegato a progetto, sottopagato e perennemente sotto scacco, non era nemmeno immaginabile. Tanto meno era concepibile l'idea che nel mondo del lavoro si tornasse, a livello di diritti, a una situazione di fatto che annulla ogni conquista sindacale dell'ultimo trentennio del secolo scorso. E invece eccomi a 35 anni, con una laurea appesa davanti ad una scrivania che non frequentavo più, sulle spalle 10 anni di esperienza lavorativa dura e intensa, tanta voglia di fare e di dare e... nessuno disposto a darmi una chance, a sfruttare quel bagaglio di esperienza umana e lavorativa che mi portavo dietro. I tre anni passati a cercare lavoro, inviando curriculum, leggendo annunci di lavoro come prima cosa al mattino per 'battere' sul tempo gli altri nel rispondere, facendo colloqui e prove di gruppo, sono stati tra gli anni più difficili della mia vita. Perché ogni giorno un pezzetto prezioso della mia autostima, così primariamente costruita, veniva staccato. È stata una demolizione lenta e crudele, in cui la sensazione di fallimento mi dava la buonanotte e il buongiorno. Sono stata una privilegiata, finita l'università sono approdata direttamente dietro la cattedra di una delle mie docenti e dietro la scrivania che mio papà aveva preparato per me. Non è stato certo facile affrontare, in aule da 200 persone, ragazzi che fino al mese prima erano miei compagni (la linearità del piano di studi a Ingegneria fa presto ad andare a persa!) e non è stato facile lavorare in famiglia, in un contesto maschile e maschilista come quello del 'cantiere', per il quale poi ho finito per lasciare l'insegnamento. Ma sono stata una privilegiata. E questo ha aggiunto il senso di colpa a quello di fallimento. Questo e la consapevolezza che quella scrivania, quel ruolo, non l'ho mai voluta io ma faceva parte dell'immagine di me che pensavo fosse 'giusta'. Forse è per dimostrare che ero pronta a sporcarmi le mani, a fare lavori 'modesti', che invece di attingere alle mie doti e trovare una strada che fosse "mia", mi sono buttata alla cieca ricerca di un lavoro, un qualsiasi lavoro. Per fare questo ho cancellato la laurea dal mio curriculum, 10 anni da professionista al timone di grandi cantieri sono diventati 10 anni da segretaria. Ed è così che sono approdata al call center, il purgatorio di tutti i precari. Ma lì il mio corpo, ben più intelligente della mia mente, ha detto basta: in un lavoro in cui la voce è l'unico strumento che hai, io sono rimasta senza. E, finalmente, ho capito. Ho capito che dovevo riscoprire, o scoprire, le mie doti, le mie passioni. In un incontro orientativo con una psicologa del lavoro avevo espresso il mio desiderio di poter 'toccare' la vita degli altri, di lasciare un segno, positivo certamente, di poter fare la differenza. Oggi faccio l'insegnante, non per giovani rampolli universitari spesso svogliati e fuoricorso, ma per ragazzi con problemi scolastici dovuti a difficoltà di apprendimento o perché il loro percorso scolastico è stato interrotto dalla malattia. Insegno cucina vegetariana. Faccio consulenza come arredatrice, ma non per portare il glamour in casa bensì per creare spazi che curino, templi che custodiscano e raccontino l'anima che li abita. Utilizzo le mie passioni per reinventarmi. Lavoro di più e guadagno di meno, ma sento di fare la differenza, nella vita del singolo e nel mondo. Non voglio andarmene, non credo che la fuga sia la soluzione, anche se io stessa consiglio ai giovani di studiare all'estero, perché in questo momento l'Italia non ha molto da offrire. Credo che il cambiamento cominci da noi, come diceva Gandhi. Il fallimento è stato il mio trampolino, la crisi economica la mia opportunità di sciogliere certi legacci. Certo, sono ancora in divenire, ma a ben pensare arrivare agli "anta" con nuovi progetti da realizzare invece che già "realizzata" è la cosa migliore che potesse capitarmi!
Camilla (venerdì, 04 luglio 2014 11:12)
Grazie Caterina, il tuo commento mi ha colpito moltissimo. L'importante è avere sogni in cui credere e avere la "caparbietà" di portarli avanti
Milo (venerdì, 04 luglio 2014 11:32)
bello...tutto bello caterina, complimenti tu ci dai una speranza!
Milo
Caterina (venerdì, 04 luglio 2014 14:33)
Sono ispirata, dopo la serata di ieri :-)
È un po' quello che si diceva ieri sera: trovare un modo per superare il dolore, la crisi, l'ostacolo. Spesso non abbiamo controllo ciò che ci succede, ma possiamo decidere come comportarci in merito, se permettere a quella cosa di fermarci e di definirci o trovare un modo di essere noi stessi 'nonostante' quella cosa e magari di essere anche meglio!