ALTRO PARERE DEL DOTTOR VALERA.

La  nostra società è del tipo consumista, caratterizzata dalla soddisfazione immediata dei bisogni, del piacere e dall’assenza del limite “perché no” proprio come nel paese dei balocchi di Pinocchio.
 Tutto questo intasamento ed eccesso di godimento si scontra però con la realtà della vita quotidiana che è  dettata dal  limite: della  natura, del Corpo e quindi della Salute e della Malattia  e  della Morte. La negazione del limite ha di conseguenza di un profondo isolamento  quando l’essere umano invecchia o si ammala. Inoltre non esiste una rappresentazione sociale della morte poichè  siamo nella società definita Post Mortale, dove la morte è presente, ma solo accidentalmente.
 

 

La medicina ufficiale è anch’essa l’espressione della nostra società, si esprime con una modalità tecnologica e assettica. I medici fanno sempre più fatica a far accettare al paziente e ai suoi famigliari i limiti della clinica sino ad arrivare all’accanimento terapeutico, al medico viene delegato il compito del mantenimento della salute a tutti i costi (onnipotenza e no limits). Infatti non è pedagogico colludere con le aspettative magiche del paziente e stimolare l’onnipotenza del medico-uomo, mentre sarebbe etico riconoscerne i limiti. Sempre più si utilizzano psicofarmaci  per rispondere al disagio e alla sofferenza del vivere e del morire. Dopo la morte tutto si ferma, tutto tace e la società moderna non si occupa del dolore della perdita e del lutto, che ormai è diventato un nuovo trauma d’affrontare e d’attraversare. La psicologia moderna è chiamata a dare il suo contributo per rispondere a questo tabu attraverso la sensibilizzazione culturale, proponendo incontri e dibattiti pubblici, e corsi di formazione per operatori socio – sanitari. Da un punto di  vista clinico è importare saper riconoscere che il lutto ha delle reazioni molto personalizzate e difficili da incasellare. Però, il prossimo DSM V elenca nei disturbi traumatici anche il lutto complicato quando i sintomi della tristezza, dell’insonnia, dell’inappetenza e angoscia persistono oltre i 6 mesi dal decesso. Questo aspetto ci richiama a saper dare una risposta clinica adeguata al problema, che necessita di tempi tecnici della mente, per poter elaborare quanto è accaduto. Pertanto non è opportuno intervenire clinicamente nei primi due mesi in quanto la sensazione di shock e spaesamento necessitano solo di un affettuoso contenimento, mentre solo dopo ci sarà lo spazio per poter intervenire clinicamente.

Anna Luchetta 30 OTTOBRE 2013

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